Oggi ti porto in un posto memorabile, di quelli che ti s’attaccano al cuore attraverso un’immagine, un odore, un refolo di vento e un raggio di sole; ti porto mano manuzza a pochi chilometri da Palermo sulle colline di Camporeale a circa 600 m sul livello del mare, nell’azienda vinicola Porta del Vento di Marco Sferlazzo.
Ho approfittato dell’evento enoturistico dell’anno, Cantine Aperte 2018, per godere da vicino la bellezza della coltivazione della vite fino al suo prodotto finito, il vino. Dall’ingresso all’azienda, un filare di cipressi sempervirens accompagna fino alla cantina, scherma il vento che tipicamente soffia in questa vallata -da cui il nome-, e dà riparo alla ginestra in piena fioritura dal giallo abbacinante e dal profumo forte che ritroverò, dopo, anche nel vino. Conosco bene la permacultura e il metodo di progettazione di gestione ecosostenibile degli spazi urbani e agricoli e i suoi tre principi fondamentali:
- la cura per la terra
- la cura per le persone
- stabilire limiti al consumo e alla riproduzione, e ridistribuzione del surplus
ma non avevo mai visto sul campo l’attuazione di questi e l’amore per la vite.
Nel vigneto di Porta del Vento la coltivazione segue le regole della permacultura, in sinergia con il territorio e con le associazioni colturali, ottenendo un vino biologico certificato. Delle piante di rose sono collocate ad inizio del filare, usate come sentinelle per avere evidenza immediata di eventuali patologie, parassiti e carenze minerali. L’osservazione e l’interazione con la coltivazione è costante, anche l’integrazione è valorizzata; alcuni alberi di noce esistenti, collaborano al completamento del sistema agricolo, le erbe vengono lasciate crescere tra i filari a protezione del dilavamento del terreno, valorizzando la diversità della moltitudine di erbe spontanee.
Per evitare l’uso delle concimazioni chimiche Marco ricorre alle risorse che la natura mette a disposizione gestendo più specie vegetali e sfruttando la simbiosi sotterranea delle stesse; ecco che, nella nostra passeggiata nel vigneto, scorgo delle piante di fave per migliorarne la fertilità. Mi sono documentata e ho letto che le leguminose sono in grado di produrre una grande quantità di biomassa che serve a reintegrare la parte organica del terreno dopo l’impoverimento della vendemmia. Non so ancora come, ma provvederò a documentarmi meglio.
Un’altra considerazione che mi preme raccontarti è legata all’ultimo dei principi fondamentali della permacultura, quello della limitazione della produzione; “la resa è bassa” ci racconta Marco , “circa quaranta quintali per ettaro”. E la scelta di coltivare un vitigno di catarratto con piante vecchie di cinquant’anni comporta la maturazione d’uva di buon livello, anche quando l’annata è sfavorevole ma la produzione è ridotta. La vendemmia viene fatta a mano e l’uva appena raccolta viene trasferita in cantina per la fermentazione e le successive lavorazioni.
Dopo il tour tra i filari con cambiamenti di dislivello e panorami mozzafiato, siamo passati con grosse aspettative e affamati di sapere, alla degustazione raccontata da Marco e supportata con il cibo delizioso preparato dalle mani sapienti di Mira. Esperti padroni di casa e incantatori di ospiti, raccontano la loro avventura dello spirito tra sudore e sacrifici per allargare la base agricola, renderla sostenibile ed etica; io penso che abbiano centrato l’obiettivo.