l’avventura al parco avventura

Quante vote vi cuntai del parco avventura dei Peloritani? Uh, una volta qui e una marea su effebi. Lo scorso fine settimana ci sono tornata per affrontare i percorsi già battuti ma soprattutto l’ultimo, quello rosso, il più difficile…vero è, è un percorso estremo, molto faticoso, culminante in due lanci nel vuoto e discesa da una ragnatela di corde molli. Sono tutta scassata, i dolori me li ricorderò per sempre ma la soddisfazione è immensa e non vedo l’ora di ri_acchianari sulle corde.
La cosa bella è che eravamo una carrettata di parenti tra zii e cugini, tutti (o quasi) affannati nel superare le difficoltà dei percorsi e non solo.
 L’aria dei colli San Rizzo sbommica un pitittu lupigno, ognuno di noi portò una cosa da mangiare, non vi pozzu cuntari quello che c’era, farei prima a a cuntari cosa non c’era. Tra le mille cose c’erano insalate di riso dietetiche e non, parmigiana di melanzane, panini con le cotoletta fritta, lasagne al forno, torta di compleanno per Rosy e torta dei 50 anni di matrimonio degli zii Aldo e Caterina; ‘nsumma cose buone a tinchitè; la zia Maregrazia portò ‘st’insalata  umida e buona che io mi feci cuntare per riportarla su queste paginette. Buonissima è! Manco a dirlo la ricetta si presta a millemila variazioni sul tema che meritano una divagazione ma per una mano ti ringrazio zia!
In ultimo ma non per importanza, lassatemi ringraziare Rosy, Gianluca e tutto lo staff del parco avventura dei Peloritani, persone speciali che ci hanno seguito mano manuzza dal briefing, alla scalata, dal percorso in quota fino alla discesa con i piedi per terra, rendendo memorabile questa giornata.

 

per due cristiani:
140 g di farro perlato
un radicchio
una cipolla rossa di Tropea
mezzo bicchiere di vino
un mazzetto di prezzemolo
40 g di noci più 20 g per la decorazione
20 g di pinoli
due cucchiai d’olio extra vergine d’oliva
un cucchiaio di formaggio molle
20 g di parmigiano grattugiato
sale e pepe
realizzate il burro di noci frullandole fino a ottenere una crema omogenea. Affettate la cipolla ponetela in un tegame con un dito d’acqua e stufate fino ad asciugarla completamente. Unite l’olio e il radicchio affettato finemente, mescolate per insaporire e sfumate con il vino. Cuocete a parte il farro, dopo 20 minuti di cottura in acqua salata versatelo nel tegame con il radicchio, mescolate e completate la cottura aggiungendo l’acqua in ebollizione. Versate la crema di noci, il formaggio e dell’acqua di cottura per fluidificare, mantecate con il parmigiano e finite con il prezzemolo, le noci e i pinoli tritati.

 

 

lo dicevo io che il paradiso è qui

Il paradiso terrestre esiste e io ne ho le prove perché ci sono stata; si trova a Gangi nel cuore della Sicilia. Quella Sicilia con le montagne alte, carica di suggestioni, lontanissima dal mare e colorata dal giallo del grano che luccica sotto i raggi del sole; un luogo lontano, per raggiungere il quale, molti chilometri di strada s’addentrano verso il centro della triscele e i tornanti si inseguono uno dietro l’altro senza pigghiari ciatu. L’autostrada è un miraggio e le trazzere, battute dal trattore o dallo scecco incontrano grandi e piccolissimi borghi che sembrano incantati e dove invece si travagghia col sudore della fronte e della fatica nei campi. Questo luogo magico si chiama ‘La Mandralisca’, un’azienda agricola sulle Madonie fondata secondo i principi della permacultura, i quali integrano ecologia, agricoltura e equilibrio paesaggistico incastrandosi egregiamente in un quadro di sviluppo sostenibile. Il biologico è di casa, anzi di più; l’orto è sinergico il che significa che le piante sono consociate e interagiscono tra loro difendendosi a vicenda, crescendo e producendo in sinergia. Il suolo non viene lavorato perché la terra si lavora da sola attraverso la differenziazione delle radici che vanno a diversa profondità e l’attività degli insetti e dei microrganismi. Dei concimi chimici non si vede manco l’ombra e manco dei diserbanti. L’orto è realizzato su bancali rialzati che alleggeriscono il lavoro e individuano dei camminamenti divisori. Su questa azienda sta crescendo un progetto di bellezza che presto vi racconterò, per adesso vi lascio questo piatto di pasta realizzato con la fagiola piatta dell’orto sinergico e le fettuccine ottenute dalla lavorazione della farina del grano antico tumminia coltivato in azienda.

 

per due cristiani:
150 g di pasta di grano antico tumminia
400 g di fagiola piatta pulita
uno spicchio d’aglio
200 g di salsa di pomodoro magari una conserva fatta in casa, sarebbe l’ideale
un mazzetto di basilico
olio extra vergine d’oliva
sale
pepe

portate a bollore una pentola con acqua potabile salata e cuocete la fagiola. Tritate l’aglio, ponetelo in una casseruola con un cucchiaio d’olio, soffriggete e poi aggiungete la salsa, cuocete poi istanti e aggiungete la fagiola. Tagliuzzatela con un cucchiaio di legno e amalgamate alla salsa. Buttate la pasta nell’acqua in ebollizione in cui avete cotto la verdura, appena si ammolla, quindi dopo qualche istante, prelevatela con una pinza e ponetela dentro il tegame con il condimento; portate a cottura risottando con l’acqua di cottura della fagiola. Dopo circa cinque minuti saggiate la cottura e valutatene il grado secondo i vostri gusti. Aggiustate di sale, pepate e sminuzzate le foglie del basilico. Servite subito. Abbiate grandi aspettative e siate grati, saprete al primo boccone che non avete mai assaggiato vera pasta.

 


 

al volo

Come perché ‘al volo??
Perché al volo si prepara, in un battibaleno, in un nano secondo. Va beh, esagero ma davvero non ci vuole molto eh? L’ho preparata l’altro giorno quando il gruppo di studio si è riunito qui da me. Dopo la frittata del pranzo una tortina per merenda, mi pare giusto, i picciutteddi hannu a studiari e il cervello ha bisogno di zucchero. ?Nsumma dopo aver rigovernato, lavato i piatti e messo in ordine ho impastato ‘sta tortina e alle cinque se la sbafarono ancora tiepida. Ho pensato di mettere nell’impasto la marmellata di arance fatta dalla mamà -che oggi fa il compleanno :D-, uno spettacolo!

Torta alle fragole e marmellata di arance
3 uova
180 g di zucchero semolato
300 g di farina + un po’ per infarinare le fragole
180 g di burro
90 g di marmellata di arance fatta in casa e con poco zucchero
150 ml di panna fresca
250 g di fragole
mezza bustina di lievito (8 g)

Sbattete le uova con lo zucchero per circa cinque minuti; sciogliete il burro e poi mescolatelo con la marmellata. Unite il mix di burro e marmellata all’impasto e, sempre sbattendo, unite la panna. Aggiungete la farina setacciata con il lievito e amalgamate bene. Affettate le fragole in quarti, dopo averle lavate e asciugate, setacciate una manciata di farina su di esse, eliminate quella in eccesso e tuffatele nell’impasto, mescolate e versate nella teglia precedentemente imburrata e infarinata (lo stampo che ho usato non ha necessità di questa operazione preventiva). Infornate in forno caldo a 170°C per circa 40 minuti, fate sempre la prova stecchino prima di sfornare.

Frittata

Mah, che vi devo cuntari… nun sacciu aunni accuminciari. Accumincio dal principio che fossi è megghiu.
Nella mia famigghia, da sempre, la frittata è con le patate, al forno o fritta in padella; non si discute. Quando mia mamma alla domanda: che si mangia oggi? Rispondeva frittata era condicio sine qua non, ovvio, scontato e assodato che fosse con le patate. Come si dice qua, “mezza parola”.
Crescendo e niscennu fora di casa, mi accorsi che la frittata, in genere, nel mondo intero, non è con le patate ma va specificato sempre. Una fatica inutile ppi mmia.
 Una frittatona o la fai con le patate oppure si cangia in una frittatina; qualunque cosa ci metti dentro, una cosuzza ppì fimmine ca mancianu picca e nenti.
E questo è l’antefatto che risale agli anni miei, di quann’era nicaredda. Ora s’appresentò una situazione che ha dell’incredibile. Quando si riunisce il gruppo di studio di me figghia a me casa, i figghioli vogliono sempre mangiare per pranzo la frittata al forno. Ora dico io, ma è mai possibile che ogni volta che venunu ccà vonnu manciari sulu ‘sta frittata?
 Sunnu talmente affatati che il gruppo su uozzapp lo chiamarono FRITTATA…

allora ecco qua la ricetta, una delle tante picchì la frittata cangia sempre a secunna di chiddu che c’è nel frigo eccetto uova e patate!
ora viene il bello, per quanti cristiani? Beh erano tre i figghioli, sono avanzati quei due pezzettini nell’ultima foto.
2 kg di patate a pasta gialla
6 uova
100 ml di panna fresca
90 g di pancetta dolce tagliata a cubetti
3 cucchiai di parmigiano grattugiato + uno per la finitura
olio extra vergine d’oliva
mollica di pane fresco o secco
sale
pepe

lavate le patate, pelatele e ponetele dentro una ciotola piena d’acqua. Scolatele asciugatele e tagliatele a pezzi non troppo grossi. Mettete i tocchetti dentro una ciotola capiente, salate, pepate e irrorate con un paio di cucchiai d’olio, mescolate per fare insaporire. Foderate la placca del vostro elettrodomestico con carta da forno, distribuite le patate in un solo strato e cuocete in forno caldo a 180°C per circa 40 minuti.
Separate i tuorli dagli albumi, montate a neve quest’ultimi e metteteli da parte. In una ciotola capiente montate i tuorli con il parmigiano grattugiato, unite la panna e continuate a montare per qualche minuto; aggiungete la pancetta, le patate sgocciolate dall’olio in eccesso e, infine, con una spatola inglobate gli albumi montati a neve. Mescolate per amalgamare bene tutti gli ingredienti. Foderate con carta forno una teglia di 24×30 cm, versate il composto, livellatelo, cospargete con il parmigiano e la mollica di pane. Infornate per circa 25 minuti.

mescolanze e assonanze

Alla fine della fiera che male c’è se, sulla base di due ricette della tradizione, ne realizzo una sula? Niente, ‘u sacciu, era così per introdurre ‘sta ricetta che marìta i broccoli con le sarduzze, con il beneplacito della passolina e dei pinoli e l’esultanza del finocchietto. Ah, ancora ‘na cosicedda v’ha diri, i broccoli ‘n Paliemmu sunnu i cavuluciuri, io ho usato i broccoli veri, come si evince dall’allegra diapositiva sottostante.

Bucatini con
sarde e broccoli arriminati

Per 4 cristiani
360 g di
bucatini
2 fiori di
broccolo
350 g di
sarde già pulite
15 g di
pinoli
Una cipolla
grossa rossa
30 g di passolina (uva passa)
50 g di
mollica di pane fresco
Un
cucchiaino di zucchero
La scorza
grattugiata di mezzo limone
Olio extra
vergine d’oliva
Una alicetta sott’olio
50 ml di
vino bianco secco
Una bustina
di zafferano
Una grattata
di noce moscata
Un piccolo
mazzetto di finocchietto di montagna tritato
Lessate i
fiori di broccolo ridotti in cimette, dopo averli lavati. Cuoceteli in
abbondante acqua bollente salata, dopo la cottura, metteteli da parte
conservandone l’acqua.
Tritate
finemente la cipolla, ponetela in una tegame con due abbondanti cucchiai d’olio
e l’alicetta, fate appassire su fuoco
dolce rimestando con un cucchiaio di legno.  Aggiungete la passolina e i pinoli e
continuate a mescolare. Unite le sarde ridotte a pezzi, mescolate e sfumate con
il vino; alzate la fiamma e sminuzzate il pesce con un cucchiaio di legno.
Aggiungete i broccoli e frantumate anche quelli. Sciogliete lo zafferano in
mezza tazza di acqua di cottura dei broccoli e aggiungetelo alla salsa di
pesce, cuocete per circa 10 minuti, unite la noce moscata, mescolate e
spegnete.

Mentre
cuocete i bucatini nell’acqua di cottura dei broccoli, preparate la muddica atturrata mettendo in un
padellino un giro d’olio con la mollica e lo zucchero, mescolate fino a
imbiondire il pane, mettete in una ciotola, aggiungete la scorza di limone e
parte del finocchietto, mescolate e ponete in tavola. Scolate la pasta
direttamente nel tegame con il condimento su fuoco dolce, aggiungete un paio di
cucchiai di acqua di cottura e mescolate, impiattate, cospargete con la muddica atturrata, ancora un po’ di
finocchietto tritato e servite caldissima.

‘Na ciavuriata di mare

Fulminatemi, ho usato i pomodorini pur non essendo la stagione giusta; flagellatemi, ne sono consapevole ma ‘sti pomodorini sono troppo buoni, vengono da Marsala e sunnu duci, ma talmente duci che parono un vero pasticcino. Se ci date un mozzicone e chiurìti l’occhi vi parrà estate. E io non vedo l’ora che arrivi, anche sulu sulu la primavera e quella sta arrivannu, si sente nell’aria nelle giornata di sole ma anche dopo un temporale; si vede nelle piante che cominciano a germogliare, si stannu arrisbigghianno. Tra poco il miracolo si ripeterà. Io pronta sono.
‘Sta pasticedda solletica il naso come se arrivasse una ventata di ciavuru marino a tradimento e si resta sopraffatti dalla bellezza, in un attimo.
per 4 cristiani
400 g di fettucce secche
50 g di mollica di pane fresco
un pizzico di zucchero
uno spicchio d’aglio degerminato
250 g di ceci cotti
30 g di pomodori secchi sott’olio
un mazzetto di finocchietto di montagna
350 g di gamberetti sgusciati
15 pomodorini
olio extra vergine d’oliva
sale
pepe
un pizzico di bicarbonato
frullate 200 g di ceci con i pomodori secchi, allungate con un po’ di acqua di cottura dei ceci e realizzate una crema fluida e liscia, mettete da parte. In una padella ponete un giro d’olio, fate scaldare leggermente e poi aggiungete la mollica, lo zucchero e tostate mescolando.
Tagliate a fette l’aglio, versate due cucchiai d’olio in un wok e cuocete l’aglio con i pomodorini tagliati a metà, aggiungete il bicarbonato, salate e, infine, pepate. A fine cottura unite i gamberetti e alzate la fiamma. A cottura ultimata aggiungete un cucchiaio di crema di ceci e i ceci interi rimasti, aggiustate di sale, mescolate e spegnete. 
Riscaldate la crema di ceci rimasta fluidificando con qualche cucchiaio di acqua calda o, meglio ancora, di cottura della pasta. Ponete uno specchio di crema su ogni piatto a servire. Cuocete la pasta in abbondante acqua bollente salata, scolatela al dente direttamente dentro il wok posto sulla fiamma, mescolate per fare insaporire, e unite il finocchietto tritato finemente. Impiattate sullo specchio di crema, spolverate con la mollica atturrata e servite caldissimo.

dolcezza e morbidezza in uno

Una tenerezza impressionante, un impasto lievitato duci e zuccherato ma non troppo, una specie di brioches alla crema ma aperta, consiglio vivamente di farla e di mangiarla tiepida. La ricetta l’ho trovata su un numero vecchissimo di Sale & Pepe, febbraio 1998 pagina 42. Non me ne voglia la redazione della patinata e amata rivista ma ho aggiunto un tuorlo nella crema e usato i 50 g di burro nell’impasto che nella ricetta si perdono. O meglio ne vengono usati 30 e degli altri 20 non si hanno notizie.
per l’impasto:
150 g di farina
50 ml di latte
10 g di lievito di birra
un uovo intero 
30 g di zucchero di canna
50 g di burro morbido
per la crema:
2 tuorli
150 ml di panna fresca
un cucchiaio di latte
50 g di zucchero di canna più un po’ per spolverare la torta
Preparate l’impasto che necessita di lievitazione, riscaldate leggermente il latte e sciogliete il lievito, ponete nella planetaria e cominciate a impastare con la farina, unite l’uovo, lo zucchero e il burro a pezzetti poco alla volta aspettando che il pezzo precedente sia stato inglobato dalla lavorazione. Coprite con un canovaccio e fate lievitare per un’ora. Riprendete l’impasto e versatelo dentro una teglia di 22 cm di diametro imburrata, allargatelo e premete con la punta delle dita infarinate, spingendo dal centro verso l’esterno e lasciando un bordo gonfio. Coprite con un canovaccio e ponete a lievitare ancora una volta in un luogo tiepido per almeno un’ora.
Preparate la crema mescolando i tuorli con lo zucchero unite poco per volta la panna e il latte. Pennellate con l’albume avanzato l’impasto lievitato, distribuite un po’ di zucchero di canna sull’impasto, versta ela crema al centro e poi distribuite ancora una manciata di zucchero i bordi della crema. Infornate a 180°C per circa 25-30 minuti. Servite tiepida.

aggrassatu, aggrassato o agglassato

Chiamalo come vuoi, appena pronunci ‘sta palora, in Sicilia, si aprono i cuori, si commuovono le anime, s’accappona la pelle per l’emozione di un sapore di altri tempi. Poi se chiedi la ricetta scopri che esiste una serie interminabile di varianti con la l’assicurazione da parte di ogni famiglia, della vera paternità, autorevolezza e originalità della preparazione. Di spezzatino si tratta ma la bontà all’assaggio è commovente. Giuro!
Ecco, quando si dice che le ricette devono essere tramandate di madre in figlia è la pura e sacrosanta verità; s’annunca si perdono le tradizioni familiari e non è bello. Questa variante me l’ha raccontata la zia Mariella, è la ricetta di sua mamma e io la trascrivo qui con le sue precise ‘ntifiche indicazioni per i posteri e per me figghia, sempre che gliene freghi una beneamata.

 La zia Mariella dice che sua mamma, la nonna Venera, non usava sfumare la carne col vino, “nella maniera più assoluta”, niente patate e qualche coccitello di pomodoro.
Una cosa è certa, le cipolle devono essere assai picchì devono caramellare durante la lunghissima fase di cottura e si riducono di molto; anche la carne del resto, lo spezzatino, sia in bianco che al sugo ha un epiteto,‘svergogna famigghie’ proprio perché compri tre chili di carne e si riduce a un mossiceddu.
Non vi pozzu cuntari come viene la pasta condita con il sugo della carne e una spolverata di ricotta infornata, lassamu peddiri va!
per 4 cristiani
500 g di spezzatino di vitello
700 g di spezzatino di maiale (punta di petto)
1,500 g di cipolle rosse
5 pomodori datterino grossi
q.b. brodo vegetale
4-5 cucchiai di olio extra vergine d’oliva
sale e pepe
soffriggete, in un tegame capiente, la carne nell’olio caldo a fuoco vivace fino a quando la carne si colora ben bene. Aggiungete le cipolle affettate finemente con una mandolina. Fate insaporire mescolando aggiungete i pomodori, il brodo vegetale, un po’ sotto il livello della carne. Coprite e cuocete a fuoco lento per un paio d’ore, mescolando ogni tanto. Quando la carne sarà cotta, ponetela in una ciotola e continuate a cuocere fino a ottenere una crema di cipolle.

Crema di zucca speziata su un bel suolo palermitano

Niè, quando ho visto questa ricetta su uno speciale di Sale& Pepe dedicato alla zucca (*) m’innamorai a prima vista, però la ricetta diceva crostini di polenta. Io polentona sono? ‘Nzamà, io sicula sono  e impastata con la farina di ceci  quindi invece della polenta fici delle panelline un po’ più grosse e le usai come basetta per la crema di zucca speziata…non ho parole, la crema di zucca è una cosa favolosa, non si può raccontare.
Come dice il venditore di sfincionello palermitano: si tastano queste cose, si tastano!
(*) Zucca, la regina dell’orto, ottobre 2012

La crema di sesamo, al secolo tahin me la sono fatta da me, se vi scoccia accattatela già pronta
tahin
100 g di sesamo
40 g circa di olio extra vergine d’oliva

panelle 
250 g di farina di ceci
750 ml di acqua
sale e pepe
un mazzetto di prezzemolo tritato

zucca
400 g di zucca
200 ml di acqua
sale
20 ml di succo di limone (circa mezzo limone)
mezzo cucchiaino di semi di cumino
mezzo cucchiaino di semi di coriandolo
200 g di pancetta a cubetti (la ricetta originale prevede la pancetta a fettine sottili)
mandorle a lamelle (le ho aggiunte io)

preparate le panelle sciogliendo in una casseruola, la farina con l’acqua, mescolate aggiungendo poca acqua per volta fino a inglobare tutto il liquido; ponete sul fuoco e cominciate a mescolare, aggiungete il sale e portate a cottura. Quando la farina comincia a staccarsi dalle pareti della pentola aggiungete il prezzemolo mescolate e spegnete. Io lo verso dentro un tubo di circa 8 cm di diametro e lungo 30 ma in mancanza di questo potete versare il composto dentro una teglia di 32 cm di diametro e poi quando si sarà raffreddta tagliate le panelle con un coppapasta. Friggetele in abbondante olio caldissimo. e poi ponetele a perdere l’unto in eccesso su un foglio di carta da cucina assorbente.
Se non avete la salsa tahin fatela in casa frullando il sesamo con l’olio fino a realizzare una salsa.
Cuocete la zucca tagliata a pezzetti con l’acqua leggermente salata, fate asciugare completamente il liquido e poi frullate insieme con i semi di cumino pestati con quelli di coriandolo, due cucchiaini di salsa tahin e il limone. Mettete da parte.
In una padella antiaderente abbrustolite la pancetta fatela rosolare e poi  fatela scolare su un foglio di carta assorbente.
Componete il piatto ponendo come base una panella, un cucchio di crema alla zucca speziata, la pancetta croccante e qualche mandorla a lamelle.

pane nero

Eccomi qua con il mio cruccio che prima si chiamava pasta madre ora dicesi li.co.li, acronimo orrendo che tradotto si legge: lievito in coltura liquida. Diciamo che è cambiata la quantità d’acqua presente nel lievito e quindi anche i rinfreschi ma sempre di levito madre si tratta. Quando il licoli è pronto si può conservare in frigo senza rinfreschi fino a un mese, in teoria è più semplice ma in verità l’ho maledetto uguale uguale alla pasta madre.
E va beh! Intanto seguite passo passo, se volete. La seconda ricetta che ho seguito e che sembra funzionare è quella di Bonci con lo yogurt, non vi sto qua a fare il pippone dei fermenti e di quanto è buono, quanto fa bene, degli enzimi e cosa succede quando fermentano, lo sapete già.
Vi cuntu, invece, quello che combinai da metà novembre; il primo tentativo con un’altra ricetta, fallì miseramente, pacienza. Il secondo tentativo partì il 21 novembre e cominciai il primo impasto utilizzando:

50 g di farina 0 macinata a pietra
65 g di acqua a temperatura ambiente ma qui c’è stato caldo, molto caldo tra i 22 e i 30 °C
2 cucchiaini di yogurt bianco intero biologico
in una boccia con la bocca larga e nemmeno tanto grande ho sbattuto, con un frullatore a immersione, lo yogurt con l’acqua per circa un minuto, ci vorrebbero le fruste per incamerare aria ma il mio frullatore è munito di disco per incamerare aria, quindi ho usato quello. Poi ho aggiunto la farina, ho frullato un minuto a bassa velocità e poi un altro minuto ad alta velocità. Ho coperto l’imboccatura del vasetto con una garza, bloccato con un elastico e messo a riposare fino al giorno dopo.

Dopo 24 ore ho fatto il primo rinfresco, la situazione si presentava calma-piatta, e va beh che sarà mai! Ho aggiunto ancora 65 g di acqua mentre viaggiavano le fruste e poi ancora 50 g di farina 0. Le fruste hanno viaggiato circa un minuto a bassa velocità, poi con la farina ancora un minuto a bassa velocità poi un minuto a media velocità. Ho richiuso con la garza e fatto riposare ancora 24 ore.
Il giorno dopo ho preso un altro barattolo più grande, ho pesato 200 g di lievito, ho aggiunto 130 g di acqua mentre frullavo a bassa velocità e poi ho aggiunto 100 g di farina 0 sempre con le fruste in azione, poi ho chiuso il barattolo con il suo coperchio e fatto riposare 24 ore.
Questa procedura l’ho effettuata per 5 giorni, quindi ho effettuato un totale di 6 rinfreschi, mi sembrava di notare una certa attività, bollicine e una separazione di quest’ultime dalla massa sottostante e in effetti mi scantai picchì, ho pensato, “l’ho perso definitivamente”. Invece le mie amiche food blogger mi hanno tranquillizzato dicendomi che basta frullare sempre prima di procedere al rinfresco fiufih, meno male che non sono sola.
Insomma, sono arrivata al 28 novembre che dovevo fare una prova di lievitino per capire se ‘sto lievito funziona o meno e successe che non potti essiri, cioè ho avuto due giorni infernali nei quali il lievito è passato in frigo. Domenica sera, in un momento di quiete, ho tirato fuori il lievito dal frigo e l’ho portato a temperatura ambiente, ne ho prelevato 100 g mescolato a 160 g di farina 0 e 45 g di acqua. ho impastato nella planetaria con il gancio e poi, quando l’impasto s’incordò ho realizzato una palla, inciso una croce, messo dentro una ciotola coperta con un velo di pellicola e poi in frigo nella parte meno fredda per tutta la notte. La mattina seguente ho tirato fuori dal frigo il lievitino e portato a temperatura ambiente. Aveva raddoppiato il suo volume, Iuppy yea!

A questo punto ho provato a fare un pane quasi nero, cioè usando un po’ della farina di grano duro Timilia o Tumminia, un grano antico che si usa con assiduità a Castelvetrano per il Pane nero. Questa farina ha un colore scuro ed è molto profumata. Il pane realizzato con il lievito madre ha una lunga durata e il ciavuru che sprigiona è potente.

Ho impastato il lievitino che era
300 g
con 200 g di farina di rimacinato
150 g di Tumminia
200 ml di acqua
un cucchiaino di miele
7 g di sale.
Ho realizzato una palla, l’ho incisa, cosparsa di acqua, olio e cimino, ops, volevo dire semi di sesamo  l’ho posta sul cuoci pane molto ben infarinato e fatta lievitare 6 ore. Poi ho infornato a 230°C per circa un’ora.

Poi ho rinfrescato il licoli sempre con il solito procedimento descritto per i rinfreschi e il licoli rimasto l’ho impastato a mano con,
200 g di licoli
450 g di Farina di Tumminia
100 g di semola di rimacinato
14 g di sale
300 g di acqua
ho realizzato una palla e messo a lievitare per 6 ore fino al raddoppio, poi ho ripreso l’impasto, l’ho diviso a metà e steso con le mani su una spianatoia leggermente infarinata, ho fatto le piegature verso il centro e realizzato una palla che ho passato su uno strato di semi di sesamo. poi l’ho girata su un a teglia foderata con carta forno e ho praticato delle incisioni, ho fatto la stessa cosa con l’altra metà di impasto e poi ho messo a lievitare per almeno due ore o fino al raddoppio. Infornato in forno caldo a 200°C per circa 40 minuti.
 Adesso posso dire che il lievito è attivo, lo conserverò in frigo e rinfrescarlo quando ne avrò bisogno.

In questa foto si notano i due impasti uno più chiaro sullo sfondo e quello più scuro in primo piano.