triscele

Che dicevo? AH si, mi ponevo il dilemma di Bufalino. Quante Sicilie? Lui diceva che sono tante, addirittura cento. Un numero che, secondo me, non vuol dire niente, matematicamente parlando; un titolo forse, da dare a un bellissimo libro.
Nondimeno, sono qua, in questa moltitudine di aspetti, di facce, di magarie in un palinsesto straordinario; l’isola nell’isola, abbacinata da una luce esagerata, fortissima. Una perla d’acqua salata al centro del mediterraneo, nuda, spontanea, vera. Modellata dai mari, dal vento, dalla pioggia, dal sole, dagli stranieri e dal languore di noi siciliani.
Io innamorata sono di questo posto, esattamente come lo sono tutti quelli che, nati qui, sono andati via, fuori, lontano; sono quelli che poi tornano sempre per ritrovare cose, luoghi, storie, simboli e persone o, addirittura, se stessi.
Di simboli da queste parti ne puoi scovare a bizzeffe -ancora alla ricerca di un numero? Uno fra tanti è il triscele che a sua volta contiene in esso diversi significati compreso “la potenza del numero tre”. Gli è stato attribuito anche un valore geografico, almeno qui da noi, associandolo alla Trinacria.
Lo conosci? Talè, è bellissimo! Un vortice a tre spirali che dal centro, sotto la faccia della Gorgone, s’impirugghiano su loro stesse; se lo fanno da destra verso sinistra, come viene rappresentato nella bannera della Sicilia, viene a significare il catamiarsi delle energie, dall’interno verso l’esterno, la rivelazione di cose belle, positive, forti. Se invece lo fanno da sinistra verso destra, trattasi di cose tinte, la calata nel regno degli inferi. Matri mia, che paura!
Delle cose tinte non vogghiu parrari, piccarità. Parramu, invece, di cose belle come questo Triscele di Purpiceddu

polpo triscele_res

polpo tri_res3

Triscele di polpo arrostisto e patate viola
per due cristiani:
un polpo da mezzo chilo decongelato
300 g di patate viola o quelle che ti piacciono di più
aglio se ti piace
rosmarino
timo
sale
pepe
olio extra vergine d’oliva

Pulisci il polpo, togli gli occhi, il becco e pulisci la testa al suo interno. Lavalo sotto l’acqua corrente e calalo per tre volte in una pentola con l’acqua bollente, fallo cuocere mezz’ora, spegni il fuoco e fai raffreddare nella sua acqua di cottura. Occorreranno delle ore, niente ci fa, ne vale la pena.nel frattempo pela le patate tagliale a cubetti nichi, se hai il robot multifunzione Magimix usa l’accessorio “cubetti & bastoncini” otterrai cubetti perfetti in un secondo da un cm.
mettile in una ciotola, condiscile con il sale, il pepe e le erbe aromatiche. Mescola e disponi, in un solo strato, su una teglia foderata con carta forno. Inforna a 200°C per circa 40 minuti o fino a quando le patate saranno cotte.

polpo tri_1res

Affetta i tentacoli del polpo, lasciandoli interi e affetta il corpo e la testa. Arroventa una piastra in ghisa e arrostisci il polpo, pochi minuti per ogni lato, regala quella crosticina dorata alla carne.
Impiatta mettendo, al centro del piatto, un cumulo di patate e parte del corpo del polpo, finisci, adagiando sopra i tentacoli, a guisa di un vortice, se ti piace.
E dopo mi cunti.

polpo triscele_res2

 

semplicemente incanto

 

troccoli

“per una volta, cerca di non essere siciliana…”

Impossibile, non gliela faccio, troppo radicato, troppo forte il senso di appartenenza arcaico. Niè, nemmeno ci provo, non potrei nemmeno immaginare me, Claudia Magistro, chissacciu, svedese per esempio, mi mancano i 12 cm di statura in più, minimo sindacale, necessario per essere ammessi dalla Svezia, gli occhi celesti ammaliatori, i capiddi biunni da vichinga e il fisico statuario. No, ripeto, impossibile.

Claudia Magistro: trattasi di un esemplare femmina di sicula provenienza, attaccata alla sua terra tipo una patella al suo scoglio, non nasconde le sue origini anzi le manifesta apertamente fuori dall’Isola. Fisico mediterraneo, fianchi larghi, pelle olivastra, occhi e capelli scuri, statura medio-bassa. Il classico fenotipo che invade l’area geografica del mediterraneo. Esageratamente fissata cu ‘sta regione, perla sbrilluccicante nel bel mezzo di un passìo formidabile, usata come zattera e sfruttata fino all’inverosimile, arretrata e ‘nserrata nella gabbia gattopardesca  del “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Certo, disincanto, vane attese, sacrifici e rinunzie hanno indotto molti ad abbandonare l’Isola. 
Una cosa è certa; la bellezza di questo posto. Un museo a cielo aperto, semplicemente un incanto nonostante tutto. Il futuro glorioso promesso da tutti  i conquistatori non si è nemmeno affacciato all’orizzonte.

Nzumma, Claudia Magistro sicula è, fino al midollo, prendere o lasciare.

E per firmare questa asserzione ti presento un piatticeddu di pasta dal ciavuru siciliano

aglio-di-nubia


Troccoli freschi con pesto trapanese e ciavuru di mari

per 8 cristiani:
un kg di troccoli freschi, è una pasta che non cresce in cottura, ci nni voli assai
6 pomodori grossi rossi
mezzo chilo di sarde fresche
60 g di mandorle con la buccia e tostate in forno
2 spicchi di aglio di Nubia
origano secco o fresco
farina di rimacinato
pepe macinato al momento
sale
olio extra vergine d’oliva
100 g di mollica di pane secco
30 g di caciocavallo fresco, grattugiato
un cucchiaino di zucchero
prepara il pesto sbollentando i pomodori, elimina la buccia e i semi, taglia a quadrucci e metti da parte. Nel mortaio pesta l’aglio con una presa di sale, gira fino a ottenere una crema, unisci l’origano e le mandorle, poche alla volta, pesta e gira schiacciando il pestello lungo le pareti del mortaio, aggiungi due cucchiai d’olio e continua a girare, unisci il pomodoro, mescola e aggiungi ancora un paio di cucchiai d’olio e il pepe.

Prepara la mollica atturrata: metti un giro d’olio in un padellino, aggiungi il pane secco grattugiato e lo zucchero. Mescola per evitare di bruciare tutto, appena è pronto ed ha assunto bel colore ambrato, spegni il fuoco.

Infarina le sarde dopo averle lavate, aperte a libro e diliscate, friggile nell’olio caldo per pochi istanti, scolale su della carta assorbente e tienile al caldo.

Cuoci la pasta in abbondante acqua salata. Scolala al dente per carità, mettila dentro una cofana con il condimento, aggiungi un po’ di acqua di cottura della pasta e mescola bene. Impiatta e decora con un ottavo delle sarde fritte, servi con la mollica atturrata usata come se fosse formaggio e poi mi cunti.

di piaceri e di altri appagamenti


fagiolini lunghi resize

Ecco ciò che mi piace di questo blog.

Un giorno Fabio, un mio amico, mi disse: Cla, tu sei una blogger di fama mondiale…
Seee, ci rissi iu.
Se ci pensi, mi ha detto, sei sul web e hai un po’ di lettori dal mondo, quindi…
Mizzica, ragione hai, gli ho detto, e me ne sono acchianata sulla mia nuvoletta personale.
Ogni tanto bisogna alimentare la propria autostima quando se ne scende di livello, se non te ne accorgi da solo devi avere la fortuna di avere amici che te lo ricordano.

L’altro giorno Marco mi ha chiesto, preoccupato: che fine facisti? Picchì anche se del nord (ma che dico nord, del nordissimo) frequentando queste pagine si sta sicilianizzando, puru iddu.

Nessuna fine, gli ho detto, ho poca voglia in effetti, sarà un po’ di stanchezza, buh, l’effetto agostano?
Beh, no, mi ha detto, scrollati di dosso ‘st’effetto che non ti si addice.
Ecco allora questo piatticeddu lo dedico a te, Marco, assiduo lettore di scorza d’arancia, amante della buona tavola,  sapiente cuoco, conoscitore di vino e, mi permetto, amico mio oramà. Ora hai un compito, svegliarmi dal torpore ricordandomi che ho un impegno, quello di scrivere una pagina da leggere. Speriamo che non me lo tiri in testa, ‘sto piatticeddu Marcuzzo.

‘Sta ricetta è facile facile, le dosi sono per 4 cristiani, e ti ci vuole mezz’ora totale di cottura ma almeno un’ora per la preparazione.

fagiolina di carini

A Carini ci vantiamo di avere una fagiolina (leggi fagiolini, da noi è femmina) speciale; è lunga che pare pasta formato spaghetto anzi meglio bucatino. Molti, anche della zona, esclamano “ma che è?” Ancora c’è gente che non l’ha mai vista…mah!
Ora, chi glielo dice ai compaesani che ‘sta fagiolina lunga si chiama di Sant’Anna o a metro o serpente o in mille altri modi e mai mai mai di Carini? Io no!
Nsumma, accattai mezzo chilo di ‘sta fagiolina, mezzo chilo di calamaretti, 200 g di ceci pronti, mi seccava cocerli,  un piccolo mazzetto di prezzemolo e uno di finocchietto di montagna, una foglia d’alloro la scippai alla mia piantozzola, pigghiai anche due cm di zenzero, un pizzico di peperoncino secco e mi misi all’opra. Intanto t’ha diri ‘na cosa, ce l’hai un pescivendolo di fiducia innamorato di te? Allora fai come me, armati di santa pacienza  e pulisci i calamaretti, uno a uno. Niè, fai accussì, se ti schifii ti infili un paru  di guanti, attipo quelli in lattice, prendi un calamaretto, gli togli i tentacoli, la boccuccia, gli occhi e le interiora. Dalla sacca elimini la pelle, poi sciacqui e asciughi con un pezzo di carta assorbente. Ecco, fallo per mezzo chilo di calamaretti. poi li tagli a rondelle o li incidi lungo la sacca li metti dentro una ciotola con dell’olio etra vergine d’oliva, una grattugiata di zenzero, una foglia d’alloro e un pizzico di peperoncino secco se ti piace, copri con la pellicola e metti in frigo per una o due ore. Lava i fagiolini, togli solo la parte apicale e cocili per circa 25 minuti o fino a quando sono cotti, dentro una pentola d’acqua bollente salata, scolali e fai raffreddare. Fai arroventare una piastra e cuoci i calamaretti ponili dentro una ciotola con i ceci mescola e fai insaporire. Impiatta facendo un nido di fagiolina, aiutatati con un coppino e un forchettone, gira la verdura dentro il mestolo e poi ponilo dentro il piatto, allarga il nido e metti dentro un quarto di condimento a base di ceci e calamari, distribuisci un trito di prezzemolo e finocchietto, un giro d’olio extra vergine d’oliva di qualità, crudo, servi e poi mi cunti.

cosa c’è per pranzo?

Facile, non è una ricetta, non potrei chiamarla nemmeno un’idea, sarebbe troppo! Un suggerimento? si ecco, un suggerimento per assaporare una fetta di tonno che già di suo non avrebbe bisogno di orpelli, ma tant’è che per fare manciare ‘u pisci puru ai picciriddi, o ai figghiuleddi chiù ranni, non si sapi ppì quale cabasiso di motivo l’avemu a mascherare da fetta di carne. Al primo mozzicone, però, ti lascia alluccutu. Di questo trattasi. Di rimanere a bocca aperta quando invece la dovresti tenere chiusa, anzi, dovresti fare lavorare le mandibole ad “apri e chiudi”, facendo partire le endorfine, scordarti di ogni cosa e godere di un piacere immenso.

ingredienti tonno

gli ingredienti qua sono, accatti una fetta di tonno e fai una panatura a base di mollica di pane fresco, granella di pistacchio, semi misti, semi di papavero e salvia spezzettata, sale e pepe, magari garofanato o lungo. Massaggia il tonno con un cucchiaino scarso di miele e poi passalo nella panure, fai aderire bene bene da ambo i lati. Potresti friggerlo ma non te lo consiglio, arrostiscilo su una piastra di ghisa calda pochi istanti, deve rimanere rosa all’interno (ppì faureddu se no ti diventa stopposo e ‘u jecchi); servilo con due cocciteddi di pomodorino datterino, duci magari di Pachino, un calice di vino bianco ghiacciato e pensami.

tonno ammuddicato

 

ciavuru di zagara

zagara

‘Stu ciuri è di una bellezza incredibile, ma chi ciavuruuuuu, il profumo della zagara è conturbante, ‘u sitistuvu?  incanta tutto il mondo animale, financo l’uomo, anzi la donna che, se in questo periodo s’avi a maritari, si fa conzare dal fiorista un bouquet con questi ciuriddi… ma t’ummagini che spettacolo? Una nuvola bianca puntinata dai pistilli gialli. Niè una poesia.
Ora cca sugnu per cuntariti ‘sta ricettuzza del gelo di limiuni. S’intisi parrari sempre di gelo di mellone, anguria, quello più famoso, rosso con i pizzuddicchi di cioccolato dintra, per capirsi. Ma l’hai tastato mai il gelo di limone? Ah! che meraviglia, che delicatezza, che spettacolo. Sembra di mangiare una granita ma con la consistenza della gelatina. Un dolce delicatissimo che ti consiglio, se e solo se, hai dei limoni non trattati. Alessio è il mio spacciatori di limoni tirati su ad acqua e amore da sua papà, nella meravigliosa Conca d’Oro. Che dire di più? Ah, si la ricetta, classica, siciliana…

gelo di limone
Abbiate pazienza, le cose buone vogliono riposare per diventare ancora più buone.
tempo di preparazione: 15 minuti
tempo di riposo: un giorno
tempo di cottura: circa 15 minuti
per 6 cristiani
3 grossi limoni
un litro d’acqua
250 g di zucchero
80 g di amido di frumento
La mattina del giorno prima lava e asciuga i limoni, preleva la buccia con uno zester, solo la parte gialla, e mettila dentro un contenitore capiente. Aggiungi l’acqua, copri con una pellicola e fai riposare per 8 ore. La sera prima filtra l’acqua dentro una casseruola, stempera la frumina setacciata, aggiungi lo zucchero, metti sul fuoco e porta a bollore, aggiungi il succo dei limoni filtrato e cuoci ancore qualche minuto. Versa in stampi singoli oppure dentro uno unico precedentemente spennellati con un velo d’olio, l’ideale sarebbe quello di mandorle dolci, ma va beh! Metti in frigo tutta la notte.

e ti ricordi?

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Mizzica, ci sono sapori e odori che restano piegati nei cassetti della memoria. Sono lì e te ne dimentichi di averli, esattamente come un qualunque oggetto ben riposto. Certe volte apri il cassetto e ti ritrovi una cosa tra le mani, spuntata così, come dal nulla.
Con i sapori e gli odori è la stessa cosa precisa ‘ntifica. A li voti dai un muzzicuni a ‘na cosa e quella niente fa? A timpulata ti riporta indietro di anni luce, e ti ritrovi picciriddu in una pellicola degli anni settanta con i colori ingialliti attipo Polaroid. Maria, maria, maria! E’ ‘na cosa che macari fa ‘mpressione.
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Accussì succidiu, l’autru jurnu, unni me matri
. Accattammu una guantiera di dolcetti, biscottini da the, cose accussì. Tra i tanti biscotticeddi c’erano chisti, gli occhi di bue
Ora, sentite ammia, pigghiate una penna e un pizzinu, che bonu faciti.

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Per l’impasto
500 g di
 farina
250 g di burro freddo tagliato a dadini
200 g di zucchero di canna a grana sottile
3 tuorli d’uovo
un uovo intero
Un cucchiaino di estratto di vaniglia
la scorza grattugiata di un grosso limone
un pizzico di sale
Per la farcitura e la finitura
confettura di albicocche
zucchero a velo

Mescolate tutti gli ingredienti per l’impasto, fatene una palla lavorando il meno possibile, avvolgete in un film di pellicola e ponete in frigo a rassodare almeno un’ora.
Accendete il forno a 170°C, almeno il mio, voi basatevi sulla conoscenza del vostro elettrodomestico; recuperate l’impasto, prelevate una porzione e il resto ponetelo di nuovo in frigo. Su una spianatoia leggermente infarinata stendete l’impasto a uno spessore di circa 4-5 mm. Con un taglia biscotti di e cm di diametro realizzate tanti dischi e poneteli su una placca foderata con carta forno. Sulla metà di questi dischi praticate un foro con un altro taglia biscotti di 2,5 cm di diametro. Cuocete in forno per circa 15 minuti. Controllate la cottura non devono scurirsi. procedente con questa operazione fino a esaurire la pasta frolla. Consiglio di rimettere in frigo i ritagli di pasta, rimpastarli e procedere come sopra. Quando i biscotti saranno freddi, cospargete con la confettura di albicocche quelli interi, coprite con gli anelli e poi spolverate con lo zucchero a velo.

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dalla mamà…

Ah! M’ha scialai! In primisi picchì mi fici un giro al mercato rionale, mille colori, ciavuru e bellezza a profusione. I pisci parunu vivi, ti talianu come se fussiru pronti per ziccarisi dintra la borsa. L’occhi mia parunu stiddiari, hanno fatto scintille per la felicità e mentre mia madre parrava con i suoi spacciatori di pesce, frutta e verdura di fiducia io scattavo foto rilassandomi totalmente. Una cosa impagabile.
pesce_1In secundisi m’ha scialai picchì me matri mi fici una pasticedda da svenimento, una pasta trafilata al bronzo, spaghetti alla chitarra ruvidi al tatto e capaci di assorbire tutto il condimento a base di cernia. Un chilo e mezzo di pesce, ‘n’anticchia di pomodorini, prezzemolo, olio, aglio e tanto amore. Non vi pozzu cuntari la bontà, l’aviti a tastari.
Spaghetti alla chitarra con sugo di cernia della mamà.
per 4 cristiani
400 g di spaghetti alla chitarra trafilati al bronzo
una cernia da 1500 g
una manciata di pomodorini
2 spicchi d’aglio
100 ml di vino bianco secco
un mazzetto di prezzemolo
sale
peperoncino
schiacciate l’aglio nell’apposito attrezzo, unite un paio di cucchiai d’olio e i pomodorini in un tegame e soffriggete.
cernia soffritto

Unite il pesce tagliato a pezzi, sfumate con il vino alzando la fiamma e poi aggiungete un bicchiere d’acqua e una manciata di prezzemolo. Salate, coprite con un coperchio e portate a cottura.

cernia

Portate a bollore abbondante acqua salata, buttate la pasta e fatela cuocere due minuti, giusto il tempo di fare perdere la rigidezza. Togliete il pesce dal tegame e aggiungete la pasta. Risottate gli spaghetti portando a cottura aggiungendo l’acqua di cottura della pasta, mescolando sempre. A fine cottura aggiungete il pesce spinato e ridotto a pezzetti, spolverate con il prezzemolo tritato rimasto e qualche anello di peperoncino fresco se vi piace. Servite caldissimo.
Buona Pasqua a tutti voi.

spaghetti

amiche annodate da un piccolo biscotto

foodblogger

Alla fin fine una pretesto vale l’altro per incontrarsi no? Ebbene, venerdì scorso, noi cinque nnì truvammu unu, ci siamo fiondate da “Cocooking” a Palermo, un luogo adatto per fare queste belle cose con le amiche  e che spesso, per motivi di spazio, non si possono fare in casa. Noi nnì vittimu per realizzare i biscotti di San Martino, un dolcetto tipico palermitano del periodo novembrino e che, come sapete, ricorre l’undici, oggi. Nelle diapositiva qua sotto in senso orario a partire da sinistra appaiono: Fina, Alessandra, Cinzia, Stefania e Ornella. Sicuramente troveremo un altro licco pretesto, presto.

foodblogger 3

Come al solito ci sono due versioni  per un biscotto, quella ricca e quella povera. Il biscotto in sé, si presenta come un nodino duro, da inzuppare nel moscato o nella malvasìa, tricottato, ci dicemu nuatri, in una forma dialettale, cioè cotto tre volte. Nella versione ricca, invece, si cuoce due volte, il biscotto rimane morbido e non si indurisce per potere, con agio, tagliarlo in due, bagnarlo con una bagna al rum e farcirlo con una crema licca, licchissima, di ricotta di pecora, o solito nostro và!

La ricetta che nnì cuntò Fina, prevede la farina 00 e lo zucchero semolato, noi foodblogger, che semu desiderose di sperimentare, usammu farine diverse, pure senza glutine. Ora vi cuntu come ficisti biscotticeddi, pigghiate un pizzino:

pezzature

per circa 15-16 biscotti piccoli
tempo di preparazione 30 minuti
tempo di cottura 30 minuti + un’ora

250 g di farina tipo 1
25 g di strutto (promemoria per me: anche un pochino di più, 35 g)
40 g di zucchero di canna Zefiro (cioè a grana sottile ma va bene anche uno zucchero di canna a grana più grossa. Promemoria per me: la prossima volta aumenterò la dose perché mi parseru poco dolci, ne metterò almeno 60 g)
10 g di lievito di birra
100 ml di acqua
Un pizzico di sale
q.b. semi di anice (a piacere)
q.b. cannella (a piacere)

In una terrina mescolate la farina, lo zucchero, il sale, la cannella, i semi di anice, lo strutto e il lievito sbriciolato. Aggiungete l’acqua poco alla volta fino a ottenere un bell’impasto morbido. Trasferite la palla sulla spianatoia e lavoratela energicamente fino a ottenere un composto liscio ed elastico. Coprite l’impasto a campana, con una ciotola e fate riposare 20 minuti. Realizzate delle pezzature di 35 g, realizzate dei salsicciotti e arrotolateli su se stessi, poneteli dentro una teglia foderata con carta forno, in un posto al caldo e fate lievitare per circa due ore. Infornate a 200°C per 10 minuti, poi abbassate la temperatura a 160°C e proseguite la cottura per 20 minuti. A questo punto avrete cotto due volte, tirate fuori i biscotti se vorrete conzarli con la ricotta, se li volete duri da inzuppare nel liquore, abbassate la temperatura a 100°C spegnete il forno e lasciate dentro i biscotti per un’ora.


sammartinelli

nìvuru di sìccia

Se sei debole di stomaco o schifiltoso fatti pulire le seppie da qualcuno che se ne intende, potresti rovinare tutto e sarebbe un peccato inenarrabile. Ci vole pacienzia puru ppì mmmia che non pulisco seppie dalla mattina alla sera. Mi accingo a pulirle con scrupolo, delicatezza per non rompere le sacche con l’oro nero, garbo e cura per una cottura attenta a conservare integro il sapore del mare.
A fine pasto avrai le labbra e i denti neri ma il cuore gonfio di gioia e l’anima arricriata.

fettucce con ragù e nivuru di siccia
per tre cristiani, noi
350 g di fettuccine
500 g di seppie
200 g di pomodori piccadilly
4 cucchiai di salsa di pomodoro
un grosso spicchio d’aglio
un cucchiaino di estratto di pomodoro
q.b. peperoncino secco
sale
n’anticchia di vino bianco secco
olio extra vergine d’oliva
foglie di maggiorana fresca

pulisci le seppie, elimina gli ossi, aprile, elimina le interiora, la pelle, gli occhi e la bocca. Sciacquale sotto l’acqua corrente e tamponale con della carta da cucina. Trita finemente lo spicchio d’aglio degerminato, ponilo in una casseruola con un giro d’olio e fai dorare leggermente a fuoco dolce, aggiungi i corpi delle seppie tagliati a filetti e i tentacoli a pezzetti con il peperoncino, fai insaporire e sfuma con il vino.
Aggiungi i pomodori tagliati a metà, mescolate e fai appassire per pochi istanti, unisci la salsa, l’estratto e le sacche con il nero. Sala solo se necessario, il mio ragù non ne aveva bisogno. Porta a bollore abbondante acqua salata, cuoci la pasta e ripassala in padella con il condimento. Servi subitanemante cospargendo con foglie di maggiorana.

Oh, poi mi cunti

 

ma com’è che non li avevo fatti mai?

pitoni messinesi_00000
Cose, cose, cose da pazzi, in tant’anni di onorato servizio cuciniero, mai li fici. Vergogna!
I pitoni (o pidoni) messinesi sono un cibo da asporto tipico della provincia di Messina; sono calzoni farciti con indivia, tuma, pomodoro e pezzetti d’acciuga, praticamente la versione infagottata, della focaccia messinese, in un impasto brioches. Il segreto lu voi sapiri qual è?
La cottura.
Vergognosamente fritti sono.
Per ottenere 19 pitoni ho impastato 350 g di farina 0 e 350 g di semola di rimacinato con 350 ml di latte tiepido, 60 g di strutto, 40 g di olio extra vergine d’oliva, 60 g di zucchero, 15 g di sale, 15 g di miele d’acacia, 12 g di lievito. Mettete la farina nell’impastatrice (o lavorate di olio di gomito), sbriciolatevi il lievito, unite lo zucchero e lo strutto a pezzetti, impastate aggiungendo poco alla volta il latte, il sale, l’olio e il miele. Realizzate una palla, ponetela, dentro una ciotola coperta con un canovaccio, dentro il forno spento con la luce accesa. Fate lievitare fino al raddoppio. Se dovete mangiarli la sera vi consiglio di impastare la mattina per consentire la lenta lievitazione. Nel pomeriggio riprendete l’impasto e porzionatelo in palline di circa 68g ciascuno; infarinate una spianatoia di legno e poggiate le palline  per la seconda lievitazione, coprite con un canovaccio.
Nel frattempo preparate il ripieno; lavate e asciugate un piccolo cespo di lattuga indivia, tagliatelo a pezzetti e mettetelo in un contenitore. Lavate 300 g di pomodorini datterino, tagliateli a metà, metteli in un colapasta e salateli; elimineranno l’acqua di vegetazione. Riducete in piccoli pezzi 300 g di tuma o formaggio dolce tipo Galbanino. Spezzettate delle acciughe sott’olio e collocate tutti gli ingredienti in successione sul piano di lavoro.
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Non dimenticare di disporre anche una ciotolina piena d’acqua. Prendi una pallina di pasta, stendila, con le mani o con il matterello, sul piano leggermente infarinato, realizzando un disco sottile. Metti al centro due pezzetti di acciuga e una piccola parte di ogni ingrediente preparato; intingi gli indici nell’acqua e bagna il contorno del disco; chiudi il pitone e sigillalo prima con le dita e poi con i rebbi di una forchetta. In una friggitrice o in una pentola colma d’olio, friggi due pitoni per volta. Dopo la cottura, poggiali su carta assorbente coperti con un foglio dall’alluminio per mantenerli caldi.
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