Che mi priparò Adelina?

L’estate del 1999 non è stata particolarmente calda ma ppì mia fu rovente; tipicamente l’afa siciliana si alterna tra passate di scirocco notevoli e brezza marina che arrifrisca, ma figgioli, d’estate c’è da aspittarsi ‘n’anticchia di cavuru, c’è picca ‘i fari.
A quei tempi avìa ‘na panza quanto un pallone, con dentro Carlotta che scalciava, comodamente immersa nella sua culla d’acqua e senza alcuna fretta di venire alla luce. Trascinare quella panza nel periodo più caldo dell’anno è stato faticoso, avevo perso la mia proverbiale voglia di canicola, non la trovavo da nessuna parte; il caldo era opprimente, mi sarei scippata la pelle per avere ‘n’anticchia di refrigerio. Passavo da una cammera all’autra cercando la stanza più fresca, un filo di vento, un’idea d’aria, con un un libro in mano, “La voce del violino“. Pagine quelle, che accesero la passione per il mio autore preferito. Fogli letti in un soffio per la trama avvincente, per la parlata menza sicula e menza taliana, per la scoperta di personaggi che parìanu veri, simpatici e sempre sorprendenti. Poi è stato virale, come si dice oggi, appena niscìa un romanzo nuovo, sia storico che poliziesco, era ed è, una corsa in libreria per averlo. Non lo comincio subito, no, devo allontanare il momento in cui arrivo all’ultima pagina, lo centellino, leggendolo a picca a picca. 
Per fortuna, il fastidioso caldo durò, per me, solo quell’estate, ora m’arrusico la pelle fino alle ossa e mi piaci assà, come sempre.

Il commissario è un manciataru di prim’ordine, ci piaci manciari pisci, trigghie di scoglio e fritture varie, sempre in silenzio religioso e macari da sulu. La prima cosa che fa appena arriva ‘a casa, la sira, è talìare nel frigo o nel forno, per vedere che ci priparò la cammarera Adelina ppì manciari.
Triglie di scoglio con la cipuddrata per il commissario Montalbano e ppì mmia.
per due cristiani
6 triglie
farina di rimacinato integrale q.b.
olio extra vergine d’oliva
4 cipolle rosse (300 g circa)
un cucchiaino di zucchero semolato
100 ml di aceto di vino bianco
menta
maggiorana

eviscerate le triglie, eliminate le teste e le code con un coltello da cucina, dividete in due e sfilettatele, eliminando la spina centrale e tutte quelle che sentirete al tatto. Lavatele sotto l’acqua corrente e tamponatele con carta da cucina.

Pulite le cipolle, affettatele a 2-3 mm e friggetele in 70 g di olio e un goccio d’acqua a fuoco dolce con il coperchio, appena prendono colore, salate, zuccherate e unite l’aceto, mescolate e alzate la fiamma per fare evaporare, aromatizzate con la menta spezzettata e le foglioline di maggiorana. Togliete la cipolla dal fuoco e nella stessa padella friggete con l’olio rimasto (se serve altro olio aggiungetelo ma pochissimo) precedentemente infarinate, salate leggermente.

Disponete metà della cipolla in un piatto, adagiate metà dei filetti di triglia e servite subito, decorando con foglioline di erbette.

cucinò la mamà

Attruvai una ricetta della nonna paterna, cosa rarissima fu, picchì d’idda non ho ricette da tramandare a parte questa, che tra l’altro mi ha raccontato e preparato me matri qualche giorno fa, qui da me. Non si capisce molto dalla foto, vero è, non sono stata capace di carpire la bellezza e la bontà di questo piatto che, dice mia mamma, come lo faceva la nonna Anna, mai più nessuno. Questo lo dice lei che assaggiò chiddi di me nonna ma vi assicuro che questi non vi faranno fare mala fiura.
Ve lu cuntai che fa me matri quannu cucina? Una confusione inenarrabile di cose, mestoli, pignate, utensili vari, mappine e olio unnegghiè, ‘nsumma, sporca mille e mille cose ma chiddu che vene fori è una poesia. 

12 carciofi grossi
un kg di cipolle rosse
150 g di olio extra vergine di oliva
per l’agrodolce
4 cucchiaini di zucchero
120 g di aceto di vino bianco
pan grattato
menta
prezzemolo
pulite i carciofi e recuperate i cuori, tagliateli a metà, eliminate il fieno interno e tuffateli in acqua acidulata con il succo di un limone. Mondate la cipolla e affettatela grossolanamente. Irrorate con olio una padella capiente, versate cipolla, i carciofi affettati e cuocete  per circa mezz’ora, dipende dalla grossezza dei carciofi, con il coperchio e a fuoco lèggio; quando, con i rebbi di una forchetta trovate il carciofo quasi tenero, alzate la fiamma e fate asciugare l’acqua di vegetazione togliendo il coperchio. Preparate l’agrodolce, in una ciotolina sciogliete  lo zucchero nell’aceto. Quando l’acqua sarà evaporata aggiungete l’agrodolce e fate evaporare a fiamma alta per circa 10 minuti mescolando. A fine cottura spolverate con un mazzetto di menta e uno di prezzemolo. Se volete, dividete il composto in due, una parte mettetelo in una ciotola, l’altra metà  lasciatelo in padella, mescolate  una manciata di pan grattato. Servite tiepidi o a temperatura ambiente.

e brava Adelina

Montalbano sono!
Silenzio eh? Quannu il commissario di Vigata mancia, s’avi a stari muti, zitti. S’avi a scutari il palato e sèntiri chiddu chi dici assaggiannu un piatticeddu di triglie di scoglio all’agrodolce della cammarera. Adelina, per chi non la conoscesse, è la signora che si occupa di tenere pulita la casa del commissario Montalbano, ma non solo; fa la spesa e gli prepara manicaretti che puntualmente, Salvuccio, trova incoppulati nel frigo o nel forno, quando torna a casa la sera con una fame lupigna. Un bel bicchiere di vino bianco ghiazzatu accompagna una cena a base di pesce e un silenzio tombale, se è in compagnia, iddu lu dici subitaneamente, avverte con gentilezza che, quannu mancia, non deve volare una mosca. E’ in atto il rituale sacro del cibo. Il commissario non cucina, assapora le buone ricette della cammarera nella sua adorabile verandina o va a manciari fora macari da Enzo, a ripa di mari. Anche solo liggennu, veni ‘na fami impressionanti. Arancini a parte, nei romanzi di Camilleri dedicati alle indagine del commissario Montalbano, non sono trascritte le ricette dei piatti; a questa assenza ci ha pensato Trenta Editore con 
Nivuru di sìccia , da cui ho tratto questo piatto, tra le pagine troverete una gradevole interpretazione delle ricette mai scritte, dei piatti amati dall’inimitabile commissario Salvo Montalbano. 

Per correttezza vi confesso che ho usato della semola di rimacinato per panare le triglie al posto della farina 00 e ho aggiunto la maggiorana. Voi fate chiddu chi vuliti, io vu dissi.
per 2 cristiani
8 triglie piccole circa mezzo chilo di pesce
una cipolla
un’arancia
olio extra vergine d’oliva
1/2 bicchiere di vino bianco
il succo di 1/2 limone
un cucchiaio raso di zucchero
semola di rimacinato
sale
pepe
foglioline di maggiorana

Accendete il forno a 180°C. Pulite le triglie, evisceratele e squamatele, sciacquatele sotto l’acqua corrente e poi asciugatele con carta da cucina. Infarinatele e friggetele in un’idea di olio extra vergine d’oliva, salate e ponete in una teglia da forno, coperte con un foglio d’alluminio. Sbucciate l’arancia, pelatela a vivo, frullatela nel mixer. Nella padella dove avete cotto le triglie cuocete la cipolla tritata finemente, aggiungete lo zucchero, mescolate e sfumate con il vino.

 Unite il succo del limone e l’arancia, cuocete fino a ridurre di circa la metà. Irrorate le triglie con quest’intingolo, pepate e distribuite le foglioline di maggiorana. Infornate per 5-10 minuti e servite caldissime. 
Assaggiate ‘stu sfizio e dicitimi doppo, se non siete andati e tornati dal paradiso. E brava Adelina…

il mio albero dà solo buoni frutti

lo dicevo qualche mese fa, quando il gattino Felix si è mollemente adagiato tra i rami dell’ulivo, che il mio alberello dà solo buoni frutti, sia quelli edibili che quelli non. Quest’adorabile gattino mi guardava dall’alto mentre lo cercavo invano, iddu mi talìava senza mancu fari miao
Ogni anno i suoi rami mi regalano delle olive, mica tante eh? Non opero potature per la produzione ma per la bellezza della sua chioma, adoro il grigio verde del suo fogliame, il cangiante dei suoi colori quando tira una passata di vento, quannu c’è il sole o quannu il cielo è nivuru con nuvolazze carriche di pioggia. E’ un albero vibrante di emozioni, magico e longevo. (Aggiorno il post solo dopo un’ora dalla pubblicazione perché il commento di Rosalinda mi ha fatto addunare che ho omesso un piccolo, ma non trascurabile, dettaglio. Nell’immaginario collettivo l’ulivo corrisponde a un albero immenso, vecchio e nodoso, con rami che si spingono tra l’orizzonte e il cielo, un ulivo Saraceno, secolare…ecco il mio è nico, ha appena 18 anni, tronco nodoso, rami verso l’orizzonte, verso il cielo, tutto uguale uguale solo che è nicareddu.)
L’anno scorso fu annata carrica ‘st’annu invece ne fici picca e nenti ma io non mi arrendo le raccolgo, le lavo e le lavoro per mangiarle con una carrettata di soddisfazione.
Olive in salamoia
per un kg di olive 
300 g di sale
2 litri d’acqua
lavate le olive e immergetele in una mistura di sale e acqua per almeno 12 giorni. Trascorso questo tempo, sciacquatele e ponetele in una terrina piena d’acqua fresca che cambierete ogni giorno per quattro giorni. Potete mangiarle così oppure condirle come ho fatto io.
per 150 g di olive in salamoia
uno spicchio d’aglio
un mazzetto di prezzemolo
una costa di sedano 
semi di finocchio
olio extra vergine d’oliva nuovo

schiacciate le olive con delicatezza, dentro il mortaio. Trasferitele in una ciotola con l’aglio tritato fine, il sedano tagliato a rondelle, il prezzemolo tritato, i semi di finocchio e l’olio, abbondante, pepate, mescolate e ponete dentro un barattolo almeno 12 ore prima di servirle.

Di principi e di principesse

‘N’anticchia di sangue blu l’abbiamo più o meno tutti no? Io dico di si, magari non abbiamo il doppio cognome o il titolo nobiliare ma, in fondo in fondo un po’ di sangue blu, l’abbiamo anche noi; in molte storie di Sicilia, ambientate secoli fa, era facile che il principe, il barone di turno o addirittura il re, s’infrattasse con la giovane cammarera dalla pelle liscia come pesca; se facìanu nzinzola, e la donna niscìa prena, idda era una svergognata, ‘u picciriddu era di sangue misto e iddu, il nobiluomo, padrone anche della cammarera, nisciva frisco come un quarto di pollo. AH! Cose di altri tempi, forse o forse no; ma gira, vota e firrìa ‘sto sangue nobile s’incrociò tante e tante vote che, lo penso, pure io sono nobile. Ho deciso che sono la Principessa  del Borgo degli Aranci, possidente, almeno nella fantasia, di ettari e ettari, aiutami a dire ettari di giardini, in un tripudio di agrumeti, palme, carrubbi, pale ri ficu d’india, muri a secco, terrazzamenti, giare e panchine in pietra. Un’oasi effimera e fiabesca. Se questo vuol dire che io non sia di razza ariana, sappiatelo, non me ne frega una beneamata, anche picchì con tutte le dominazioni che ci furono ‘nta ‘sta isola, come pritinnemu di essere “puri”? Con rispetto parlando mi nni futtu di come la pensano quei pazzi scatenati che, della razza ariana, ne hanno fatto una questione di vita e, soprattutto, di morte. Mi vergogno per loro, s’avissiru ammucciari, schifìu!
Beh certo, oggi ci sono anche quei nobili ai quali ci rimase solo il titolo, e va beh, non si può avere tutto dalla vita, io mi accontento di avere uno zinzino di fantasia che mi èleva, anche di pochi centimetri, dal fango che si poggia, costante come la polvere, sulla realtà spietata di ogni giorno.
Nella storia di nobili siciliani si narra di un piatto ricco, opulento che si serviva nelle case nobiliari nei giorni di festa, si tratta del ‘timballo del Principe’ menzionato anche ne “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. Trattasi di un pasticcio di rigatoni in crosta di frolla dolce e grassa, ripieno di carne, fegatini, prosciutto, uova e salsiccia. Ora, attenti a mia, io non me l’accollo tutto ‘sto tripudio e opulenza quindi accontentatevi del Timballo della Principessa Claudia alleggerito, sobrio, elegante  e sfarzoso al tempo stesso.

Per 6 cristiani:
con queste dosi ho accontentato chi la vuole cotta e chi la vuole cruda, chi dunque, non gradisce il sapore della frolla associata alla pasta  e chi, invece, se l’accolla, quindi fici 4 piccoli timballi in crosta foderando 4 stampi da babà con la frolla e una piccola teglia per infornare quella senza crosta. Se tutti i sei commensali s’accollano il timballo in crosta usate una teglia di alluminio larga 20 cm e alta 10 

300 g di farina 00 setacciata
100 g di strutto
50 g di burro
50 g di zucchero
un uovo
2 g di sale
20 ml di Marsala secco
un pizzico di cannella macinata
Impastate, se volete a mano o ‘zziccate tutto nella planetaria, la farina con il burro a pezzetti, lo strutto, lo zucchero, l’uovo, il sale, la cannella e il Marsala. Realizzate una palla, avvolgetela in un foglio di pellicola e passatela in frigo per un’ora, giusto il tempo di farla raffreddare ‘n’anticchia. Nel frattempo preparate tutti gli altri componenti che andranno a insaporire il timballo:
piselli stufati:
mezza cipolla rossa tritata finemente
100 g di piselli surgelati
un cucchiaino raso di zucchero
un giro d’olio
sale
pepe
preparate i piselli, semplicemente mettendo tutti gli ingredienti, tranne il sale, dentro un piccolo tegame, coperti d’acqua, a fine cottura salate e pepate.
300 g di ragu già pronto, realizzato il giorno prima, con carne macinata mista, maiale e vitello
300 g di rigatoni
70 g di cacio cavallo o parmicgiano grattugiato
80 g di tuma
besciamella:
30 g di farina
30 g di burro
300 ml di latte
sale e pepe
noce moscata
sciogliete il burro in un tegamino, aggiungete la farina setacciata e mescolate, unite il latte, poco per volta facendo attenzione a non fare grumi. Portate a bollore, sempre mescolando e spegnete il fuoco, salate, pepate e aggiungete la noce moscata.

 a questo punto, che avete tutti gli ingredienti pronti, ponete una pentola sul fuoco e portate a bollore. Imburrate gli stampini individuali o quello unico, infarinate e eliminate la farina in eccesso. stendete l’impasto diviso in 4 pezzi se intendete realizzare le mono porzioni, in caso contrario dividete l’impasto in due pezzi disomogenei e stendete quello più grande, foderate lo stampo fino al bordo, facendolo aderire alle pareti, e rimettete in frigo. Cuocete la pasta  nell’acqua bollente, salata, scolatela molto al dente. Mettetela dentro una ciotola capiente con il ragù, il parmigiano, la tuma a pezzetti, la besciamella e i piselli, mescolate e riempite il contenitore; realizzate il coperchio del timballo e, con i rimasugli di frolla, decorate la superficie, spennellate con un tuorlo d’uovo sbattuto e infornate, in forno caldo, a 180°C per circa 45 minuti. Se volete dare il colore di “oro brunito” anche sulle pareti del timballo fate intiepidire, sformate il timballo e ripassatelo in forno ancora qualche minuto.

che dicevamo?

ah, si; che l’estate sta finendo. Prova ne sono i temporali estivi che annunciano l’imminenza della conclusione e il calendario che oggi ‘recita’: 30 agosto. Il caldo certo continuerà, sono sicura, non solo qui in Sicilia un po’ ovunque ma già da settembre si ritorna, forse solo mentalmente, al solito tran tran della vita quotidiana lontano dalle vacanze e dal mare, per chi ci va. Il solito ciclo che finisce, il solito cerchio che si chiude per dare sfogo alla latata di quelli che amano la frescura di una bella scaricata d’acqua e dell’andante morbido settembrino. Mi appare giusto e inviolabile. 
Per quanto mi riguarda continuo la mia vita cucinando piatti che l’estate, e ‘na poco di sicilianitudine, ce l’hanno dentro.
involtini di calamari a ghiotta
Per due cristiani
tempo di preparazione: un’ora
difficoltà: facile
tempo di cottura 15 minuti
800 g di calamari piccoli
50 g di pangrattato
15 g di parmigiano grattugiato
un mazzetto di prezzemolo
100 g di olive verdi snocciolate
15 g di capperi sotto sale
300 ml di salsa di pomodoro
una cipolla di Tropea
una costa di sedano
uno spicchio d’aglio rosso di Nubia
un peperoncino rosso
un cucchiaio d’olio extra vergine d’oliva
sale
pepe

 pulite i calamari, eliminate la pelle, gli occhi, la bocca e le interiora. Sciacquateli sotto l’acqua corrente e tamponateli con carta da cucina;

 tritate finemente i tentacoli e metteteli in una terrina con il pangrattato, il parmigiano, ‘n’anticchia di sale, pepe e il prezzemolo tritato. Tagliate le sacche dei calamaretti con le forbici realizzando una braciola. Mescolate il ripieno con un cucchiaino d’olio, stendete i filetti di calamaro, riempiteli con una parte del ripieno e richiudeteli per formare un involtino che infilzerete con uno spiedino. In un tegame di terracotta con i bordi bassi soffriggete un battuto di cipolla, aglio e sedano, aggiungete le olive tagliate a metà, i capperi, il peperoncino e la salsa; aggiustate di sale, mescolate per amalgamare e ponete gli spiedini nel tegame, irrorateli con la salsa, coprite con un coperchio e cuocete per circa 10 minuti. Servite gli involtini su un letto di ghiotta.

masculu e fimmina

Maschile o femminile, dubbi? No, solo banalissime diatribe che si disputano in Sicilia ma, sono certa, un po’ in tutta Italia. E’ il caso degli arancini e delle arancine siciliane. Così, tantu ppì parrari, nella zona orientale dell’isola s’acchiamunu arancini picchì hanno la forma allungata e quindi sono masculi, nella zona occidentale sunnu rotondi e ricordano una piccola arancia quindi sunnu fimmineHaivoglia a dire ai palermitani che da quell’altra latata s‘acchiamanu a n’autro modo…s’inalberano manco avissiru la patria potestà, manco se l’avissiro inventato iddi. E poi lasciatemi dire che in siciliano molte parole al femminile le trasformiamo al maschile senza tanti convenevoli come nel caso dei busiati o busiate che dir si voglia; a Trapani, che io sappia, potete chiamarle come volete non s’inalbera nessuno.
Dunque di busiate vi cuntu pasta frisca condita con il tipico pesto alla trapanese realizzato seguendo i consigli appresi a Marsala, durante il Marsala Wine 2013, nella cucina dello chef Emanuele Russo del ristorante “Le Lumie” che non finirò mai di ringraziare. Ci tengo a sottolineare che non sono trapanese, quindi  la tradizione non la conosco bene bene, se avete consigli e commenti in proposito ccà sugnu e vi ringrazio
Attenti a mia:
eravamo 9 l’autra siraimpastai 750 g di farina di rimacinato con 375 g di acqua tiepida, ho fatto una palla, l’ho infarinata e messa a riposare in frigo per mezz’ora.

sappiate che non rende molto ho realizzato 1kg e 100 g di busiate e picca erano, se ne avessi fatte ancora le avremmo mangiate.

per il condimento pigghiai:
170 g di mandorle con la buccia
un generoso mazzo di basilico
1,200 g di pomodoro a grappolo
sale
pepe
olio extra vergine d’oliva
ricotta salata
4 spicchi d’aglio rosso di Nubia

pestate nel mortaio, con movimenti rotatori,  l’aglio con mezzo cucchiaino raso di sale e il basilico. Tostate le mandorle nel forno, sotto il grill per pochi minuti, tiratele fuori e versatele nel mortaio continuando a pestare con gli stessi movimenti di polso.

Se avete un mortaio di misura media realizzate il pesto in due volte. Pelate i pomodori, eliminate i semi e tagliateli a dadini, aggiungeteli al pesto e macinate anche questi. Versate il condimento dentro una ciotola capiente, amalgamate con sei cucchiai d’olio, pepate e aggiustate di sale. e fate riposare.

Per confezionare questa pasta ci vorrebbe il buso, ferro per arrotolare l’impasto, potete usare un ferro da calza ma vi confesso che, nella mia totale inesperienza, e secondo il mio parere, ci vuole n’anticchia di attrito che il ferro non dà e che invece ricevo dallo stecchino di legno.

 Preparate la pasta prelevando un pezzo di impasto grosso quanto un’albicocca, arrotolatelo sulla spianatoia e formate un cilindro grosso quanto una sigaretta tagliatelo a 5-6 cm di lunghezza, appoggiate nel centro il buso infarinato poi arrotolatelo sulla spianatoia o tra le mani se vi viene meglio. 

Un’altra versione delle busiate è quella arrotolata in forma elicoidale. Ecco come realizzarle con delle foto esplicative. Ponete il buso, leggermente infarinato, parallelo al vostro piano di lavoro e a 45° il pezzo di impasto lungo circa 8 cm e largo mezzo cm. Arrotolatelo facendo una leggerissima pressione, infine sfilatelo e ponetelo ad asciugare su una spianatoia infarinata

Portate a bollore tanta acqua salata, versate la pasta e, dopo pochi minuti, quando sale a galla scolatela dentro la ciotola con il condimento, mescolate e servite con della ricotta salata.

il dopo festa

 Quanti di voi hanno detto ieri sera: “da domani a dieta”. Il nostro cibo quotidiano è tipicamente leggero almeno dal punto di vista delle portate, quando però arriva il pranzo di Pasqua con annessa Pasquetta del giorno dopo ci si abbuffa in maniera esagerata, vuoi per il convivio, vuoi per il piacere di stare a tavola ‘nsemmola con amici e parenti, il numero delle portate è esagerato, si arriva alla fine del tour de force con il segnale del troppo pieno acceso e la campanella che suona l’allarme. A quel punto ogni bocca famelica ha detto basta da domani…
Il problema del giorno dopo si presenta puntuale, stomaco dilatato e bisogno di qualcosa di buono; il concetto del troppo pieno, dopo una notte di sonno, è bello che dimenticato.

se siete ligi ai buoni propositi segnatevi questa ricetta per un’occasione futura, prima che finiscano i carciofi però.

Carciofi ripieni con pomodori secchi e mentuccia
per 10 carciofi
150 g di pane grattugiato
60 g di pomodori secchi sott’olio
30 g di pecorino grattugiato
un mazzetto di prezzemolo
un mazzetto di menta
uno spicchio d’aglio
olio extra vergine d’oliva
sale e pepe
un limone
Spuntate i carciofi, eliminate qualche foglia esterna e sbatteteli su un piano per allargare le foglie, metteteli via via dentro un contenitore con acqua acidulata con il succo del limone. In una terrina mescolate la mollica di pane, il pecorino, il pomodoro secco tagliato a pezzetti, l’aglio e le erbe aromatiche tritati insieme, Pepatee unite due cucchiai d’olio. Sgoggliolate i carciofi, salateli internamente e riempiteli con il composto preparato. Disponeteli dentro una tajine, in piedi, uno accanto all’altro; versate tanta acqua fino ad arrivare a metà dell’altezza dei carciofi, unite un cucchiaio d’olio, coprite con il coperchio e cuocete per circa 45-50 minuti. I carciofi saranno pronti quando, tirando una foglia esterna, questa si staccherà facilmente.

Annati a cogghiri alivi…

Ho un alberello di ulivo, l’ho comprato, anzi me lo regalò mio marito quann’eramu ziti, 17 anni fa. L’ho tenuto in vaso per 10 anni, poi l’ho messo a dimora nel mio giardino. Quest’anno ho raccolto 450 g di olive, un’emozione tale che quasi volevo andare a comprare la rete per la raccolta ahahahahahah. La potatura non è mirata alla produzione ma, piuttosto, alla valorizzazione della sua chioma; è talmente bello il colore delle sue foglie che mi veni ‘i chianciri sulu a taliallu. 


Le olive schiacciate sunnu ‘na sulenne camurria da preparare. Ma se avete la pacienza di aspettare e seguire la ricetta passu passu, non ve ne pentirete.
450 g di olive
mezzo spicchio d’aglio
una carota
una costa di sedano
qualche fogliolina di menta
peperoncino a piacere
olio extra vergine d’oliva
aceto balsamico
sale

Schiacciate le olive con un batticarne, una ad una, facendo attenzione a non rompere il nocciolo, poi immergetele in una ciotola capiente piena d’acqua e lasciatele così per tre giorni, rinnovando l’acqua ogni 24 ore. Trascorso questo tempo sciacquate le olive e trasferitele in una salamoia realizzata con un litro d’acqua  e 150 g di sale. Dopo 4 giorni sciacquatele abbondantemente sotto l’acqua corrente e mettetele in una ciotola capiente con un giro d’olio e preparate il condimento.
 Tritate finemente il sedano, la carota e l’aglio degerminato, spezzettate con le mani le foglie di menta e aggiungete tutto alle olive, condite con il peperoncino, un giro d’olio per conservare e un’idea di aceto. Mescolate, travasate dentro un barattolo a chiusura ermetica e ponete in frigo fino al momento di servire.
 

con “Salutiamoci” arrivo a 700!

Credo che un traguardo, qualunque esso sia, vada enfatizzato, festeggiato, illuminato in qualche modo e sono orgogliosa di pubblicare il mio settecentesimo post legandolo a Salutiamoci il progetto legato alla nostra salute, al nostro modo di volerci bene a tavola; curato, sostenuto e architettato da loro quattro, favolose donne del webbe. Bri, Lorenza, Stella e Roberta che in questo mese ospita il progetto con le zucchine.

Vi spìo come funziona Salutiamoci: doviti cociri ‘na cosa bona e bedda ma soprattutta sana, sanissima nel rispetto della stagionalità evitannu cibi industriali e seguendo questa tabella. Dovìti cociri cosi che fannu bono al vostro corpo, alla vostra salute. Tutti possono partecipare, se avete un blog mettete il logo con la melina e il link al post di Cobrizo, poi lasciate la vostra ricetta nei commenti. Amunì salutatevi puru vui

potete partecipare con ricette nuove o con quelle vecchie purché facciate un nuovo post con il logo dell’iniziativa…eddai non fatevi pregare!

Zucchine ripiene

per 2 cristiani:
4 zucchine piccole genovesi
una cipolla rossa di Tropea
10 g di passolina (uva passa) 
20 g di pinoli
20 g di pomodoro secco
60 g di pangrattato
un’ acciuga sotto sale
un ciuffo abbondante di origano fresco
olio extra vergine d’oliva
sale e pepe
Lavate le zucchine, spuntatele e scottatele in acqua bollente, salata, per 10 minuti. Scolatele e lasciatele intiepidire. Ammollate l’uva passa in acqua tiepida per 10 minuti. Nel frattempo pelate la cipolla e affettatela sottilissima con l’aiuto di una mandolina. Tagliate a metà le zucchine nel senso della lunghezza e, con molta delicatezza, asportate la polpa. Soffriggete la cipolla in 3 cucchiai d’olio, aggiungete l’acciuga, dissalata sotto l’acqua corrente, i pomodori secchi precedentemente ammollati in acqua calda per dieci minuti, risciacquati e tritati finemente, infine la polpa della zucchina tritata; cuocete per cinque minuti. A parte tostate leggermente i pinoli e poi il pangrattato. Mettete in una ciotola tutti gli ingredienti preparati, una macinata di pepe e le foglioline di origano, mescolate per amalgamare e farcite le zucchine. Disponetele in una teglia foderata con carta forno e infornate in forno caldo a 160°C per 20 minuti circa.
 salut