canapè, strati di bontà

canapè di patate e salmoneIo mi diverto quando organizzo una cena, ci metto tutti i sentimenti e spero di ricevere nel migliore dei modi. Se poi ci arrinisciu non lo so. Di una cosa sono certa, me la scialo a pensare: alla tavola piatti, posaterie e cristalli (o vitrazzu ma dalla bella foggia), addumo i cannili, penso agli abbinamenti, ai gusti dei commensali, alle preferenze, alle intolleranze, picchì c’è chiddu non mancia formaggio, a chiddautri l’agghia ci fa veleno, un insieme di cristiani coronato da chiddi che macinano qualunque cosa e che si adeguano. E va beh, il bello sta anche in questo, se no, troppo facile sarebbe.

Per 8 cristiani
1 kg di filetto di salmone
q.b. foglie disongino
800 g di patate
100 g di burro fuso
100 g di olive nere
q.b. pan grattato
sale e pepe
olio extra vergine d’oliva
Cuocete le patate in acqua fredda, pelatele, schiacciatele e mescolatele in una terrina con il burro le olive tritate grossolanamente. Salate, pepate, aiutandovi con coppapasta di 8 cm di diametro realizzate dei medaglioni, passateli sul pangrattato e dorateli da ambo i lati in una padella con un filo d’olio. Distribuiteli sui piatti da portata. Tagliate il salmone in otto tranci poneteli in una teglia foderata con carta forno, irrorate con un filo d’olio, salate, pepate e infornate in forno caldo a 180°C per circa 10 minuti. Sfornate, disponete sui medaglioni di patate, decorate con il songino e servite.

sarde imbottite alla sinfasò

 

sono a dieta da due_mesi_due e si vede. Si vede talìannu ‘ste paginette (nel senso che pubblicai picca e chiddu chi pubblicai non lo mangiai) e anche taliannu a mmia. Sono soddisfazioni per un semplice motivo: ho switchato. Nel ciriveddu ho girato la manopolina, cliccato l’interruttore, interrotto il desiderio di mangiare sempre e assai. Ma non ho modificato il modo di mangiare a meno di una prova fallimentare che, forse, un giorno, racconterò. Ora, ‘ste sardicedde cascano in una di quelle sere di “ho voglia di qualcosa di buono” e, vi assicuro, è proprio fame.
Sappiate che, per i non_a_dieta, il piatto si potrebbe arricchire con briciole di pane e frutta secca, bonu fussi.

per tre cristiani
tempo di preparazione: 15 minuti
tempo di cottura: 55 minuti
difficoltà: facile
450 g di sarde già pulite (16 sarde)
350 g di peperoni (2 piccoli)
3 cipollotti
300 g di piselli freschi o 150 surgelati
20 g di finocchietto di montagna
2 cm di zenzero grattugiato
mezzo bicchiere di vino
sale e pepe
lavate i peperoni, tagliateli a metà, eliminate i semi e il picciolo, tagliateli a fiammifero e poi a dadini piccoli; poneteli dentro una padella con un cucchiaio d’olio, l’acqua, i piselli, il finocchietto tritato e i cipollotti tagliati a rondelle. Cuocete con il coperchio fino a quando i piselli saranno cotti, circa 30 minuti e se l’acqua dovesse evaporare prima del tempo di cottura, aggiungetene poca e bollente. Sfumate con il fino e fate evaporare, infine salate, pepate e grattugiate lo zenzero.
Lavate le sarde e tamponatele con carta da cucina; ponete sul tagliere una sarda aperta a libro,   riempitela con il ripieno preparato e coprite con un’altra sarda; poggiatele, con delicatezza in una teglia, leggermente unta d’olio; versate il condimento rimasto, decorate con mezze fette di limone e il succo di mezzo limone. Infornate a 180°C per 20 minuti circa.

Frittata

Mah, che vi devo cuntari… nun sacciu aunni accuminciari. Accumincio dal principio che fossi è megghiu.
Nella mia famigghia, da sempre, la frittata è con le patate, al forno o fritta in padella; non si discute. Quando mia mamma alla domanda: che si mangia oggi? Rispondeva frittata era condicio sine qua non, ovvio, scontato e assodato che fosse con le patate. Come si dice qua, “mezza parola”.
Crescendo e niscennu fora di casa, mi accorsi che la frittata, in genere, nel mondo intero, non è con le patate ma va specificato sempre. Una fatica inutile ppi mmia.
 Una frittatona o la fai con le patate oppure si cangia in una frittatina; qualunque cosa ci metti dentro, una cosuzza ppì fimmine ca mancianu picca e nenti.
E questo è l’antefatto che risale agli anni miei, di quann’era nicaredda. Ora s’appresentò una situazione che ha dell’incredibile. Quando si riunisce il gruppo di studio di me figghia a me casa, i figghioli vogliono sempre mangiare per pranzo la frittata al forno. Ora dico io, ma è mai possibile che ogni volta che venunu ccà vonnu manciari sulu ‘sta frittata?
 Sunnu talmente affatati che il gruppo su uozzapp lo chiamarono FRITTATA…

allora ecco qua la ricetta, una delle tante picchì la frittata cangia sempre a secunna di chiddu che c’è nel frigo eccetto uova e patate!
ora viene il bello, per quanti cristiani? Beh erano tre i figghioli, sono avanzati quei due pezzettini nell’ultima foto.
2 kg di patate a pasta gialla
6 uova
100 ml di panna fresca
90 g di pancetta dolce tagliata a cubetti
3 cucchiai di parmigiano grattugiato + uno per la finitura
olio extra vergine d’oliva
mollica di pane fresco o secco
sale
pepe

lavate le patate, pelatele e ponetele dentro una ciotola piena d’acqua. Scolatele asciugatele e tagliatele a pezzi non troppo grossi. Mettete i tocchetti dentro una ciotola capiente, salate, pepate e irrorate con un paio di cucchiai d’olio, mescolate per fare insaporire. Foderate la placca del vostro elettrodomestico con carta da forno, distribuite le patate in un solo strato e cuocete in forno caldo a 180°C per circa 40 minuti.
Separate i tuorli dagli albumi, montate a neve quest’ultimi e metteteli da parte. In una ciotola capiente montate i tuorli con il parmigiano grattugiato, unite la panna e continuate a montare per qualche minuto; aggiungete la pancetta, le patate sgocciolate dall’olio in eccesso e, infine, con una spatola inglobate gli albumi montati a neve. Mescolate per amalgamare bene tutti gli ingredienti. Foderate con carta forno una teglia di 24×30 cm, versate il composto, livellatelo, cospargete con il parmigiano e la mollica di pane. Infornate per circa 25 minuti.

di che stiamo parrannu?

 Del tempo! Mizzica chi malu tempuuuuuuu, un vento che porta via, di scirocco, dice, in effetti non c’è freddo ma mancu cavuru. Per non di meno a ciò, con questa gran camurria e schifiu di tempu io mi ‘nserru dintra e m’appunto su un pizzinu ‘sta ricetta picchì nnì piaciu a mmia e a mme figghia!
Versione italiana:
Oh, che brutto tempo, c’è un vento, talmente forte che porta via, di scirocco, dicono, in effetti non c’è freddo ma nemmeno caldo. Comunque con questa grande seccatura e schifo di tempo io mi chiudo dentro casa e mi segno, su un pezzo di carta, questa ricetta perché è piaciuta a mia figlia e a me.

Per 4 cristiani, quattru, four
4 cosce di pollo circa 2kg e menzu (2 Kg e 500 g)
4 mele annurche
una manciata di anice stellato, stiddratu
4 grossi spicchi d’aglio
130 ml di Marsala secco 
un litro di brodo vegetale realizzato con una carota, una cipolla e un gambi di sedano
q.b. olio extra vergine d’oliva
due cucchiai di farina
sale
pepe
rosmarino fresco
procuratevi un tegame grande, granniissimu, capace di contenere il pollo in un unico strato senza sovrapposizioni. versate un fondo di olio, aggiungete gli spicchi d”aglio sbucciati, tagliati a metà e privati del germe interno. Accendete il fuoco e soffriggete leggermente facendo scaldare il tegame. scottate le cosce di pollo da ambo i lati, facendole rosolare. Unite il Marsala, alzate la fiamma e fate sfumare, Tagliate le mele a spicchi eliminando il torsolo e aggiungetele al pollo insieme con l’anice stellato, versate il brodo, il rosmarino, salate, pepate e coprite con il coperchio, abbassate la fiamma al minimo e cuocete per due ore o fino a quando la carne si staccherà dall’osso. Togliete il pollo dalla casseruola e mettetelo da parte al caldo. Alzate la fiamma e fate ridurre il sugo; setacciate la farina e cuocete qualche minuto fino a fare addensare la ‘salsina’. Rimettete il pollo nella casseruola irrorandolo con l’intingolo. mantenelo al caldo fino al momento di servire.

un’agenda ingiallita chiù granni ‘i mia

1960, un’agenda si direbbe oggi. Sulla copertina  c’è scritto: 365 guida e diario per la casa. Non solo agenda dunque, un’ispirazione, un binario sul quale correre sicuri tra le pagine della vita casalinga; certi di trovare un consiglio un parere, un’indicazione o una ricetta. 
Scritta da Achille Brioschi e C. editrice City, Milano era di proprietà della mia nonna materna, Elsa Leondari in Modica. Credetemi se vi dico che era una persona speciale; nella vita, oltre a essere mia nonna, era una maestra di scuola elementare e ho praticamente detto tutto, amata da tutti, granni e picciriddi. E va beh, megghiu cà mi fermo picchì mi emoziono molto facilmente e la malinconia m’assuglia. V’ha dire ancora n’autra cosicedda. ‘Nta tutti ‘sti consigli che il buon Achille Brioschi dispensava, mia nonna scriveva le sue ricette, incollava pizzini, ritagli di giornale e appuntava le sue varianti. Praticamente un tesoro.
Il salame di tonno è un polpettone molto sostanzioso a base di tonno sott’olio ma non solo, un piatto, mi racconta me matri, cosiddetto di mezzo; si portava in tavola durante i pranzi barocchi. ‘O solito nostro và, sempre esagerati.
Salame di tonno
250 g di tonno sott’olio sgocciolato
4 uova intere 
un tuorlo (l’ho omesso)
8 cucchiaiate colme di Parmigiano Reggiano grattugiato
4 cucchiaiate di pan grattato
sale, un pizzico
pepe
prezzemolo tritato
per il salsa al limone:
2 limoni 
200 ml di olio (ne ho usato 150 ml)
abbondante prezzemolo tritato.
sminuzzate il tonno molto finemente, con una forchetta dentro una terrina, aggiungete le uova, il parmigiano, la mollica il pepe, il pizzico di sale e un po’ di prezzemolo. Mescolate per amalgamare bene. Strappate due fogli di carta forno della misura dei futuri salami. Bagnate e strizzate i due fogli; stendeteli  sul piano di lavoro, ungeteli leggermente con le mani. Prelevate metà del composto che sarà molto morbido (tranquilli in cottura si rassoderà), adagiatelo su uno dei due fogli, dategli una forma cilindrica, arrotolate il foglio attorno al composto e chiudete le due estremità con dello spago da cucina. Fatelo stesso con l’altra metà del composto.
Immergete i due “salami” dentro una pentola ovale piena di acqua bollente, legate le estremità ai manici in modo da non fare toccare il fondo della pentola ma allo stesso tempo devono essere coperti dall’acqua in ebollizione. Fate cuocere 20 minuti; più è grosso è il salsicciotto più avrà bisogno di cottura. Togliete dall’acqua e fate raffreddare completamente. Scartate e affettate. Adagiate le rotelle su un piatto da portata; preparate un’emulsione con il succo del limone, l’olio e il prezzemolo e, poco prima di servire, distribuitelo sul salame di tonno.

tutto a pallini

Anche qui fa freddino, giorni della merla o no, s’apprisintò un friddu di moriri e le temperature si nnì scinneru della bella; vero è che siamo a gennaio parente di febbraio ma difficilmente mi abituerò alle temperature così fredde. E lo so che molti di voi del nord vi abbagnate il panuzzo perché in Sicilia le temperature sono miti in inverno, ma una cosa è certa, durerà poco e ce la faremo a ritornare al nostro  “solito” inverno.
Non solo fa un friddu d’aggigghiari che s’arrifriddanu puru i sentimenti, per completare l’opera sugnu puru a dieta, dal primo giorno utile dopo feste e avi a durari fino a dopo Pasqua. Facitivi ‘stu cuntu…vorrei rammentare che poco ci manca e trasi la primavera.

per due cristiani a dieta
per le polpette
250 g di filetto di merluzzo
150 g di patate (una)
25 g di semi di chia
spezie a piacere
sale e pepe
per il contorno di verdure stufate:
senza dosi, a sentimento, dipende dalla vostra fame
zucchine
carote
pisellini primavera surgelati
aglio
sale
peperoncino fresco
basilico
olio extra vergine d’oliva
acqua

lavate la patata, lessatela con la buccia in acqua fredda, pelatela e schiacciatela con una forchetta
cuocete al vapore il filetto di pesce, mettetelo insieme con la patata, salate aromatizzate con pepe e altre spezie o aromi e schiacciate anche questo con la forchetta amalgamando i due composti. Realizzate delle palline grosse come una noce e passatele sui semi di chia e mettete da parte.
Realizzate le verdure stufate; pelate le carote, lavate le zucchine e spuntatele, pulite l’aglio, tagliatelo a metà e degerminatelo. Affettate le zucchine e le carote con una mandolina,mettetele dentro un tegame con un cucchiaio d’olio, l’aglio, i piselli, il peperoncino affettato e mezzo bicchiere d’acqua, salate, coprite con un coperchio e portate a cottura, tgliete il coperchio e fate asciugare l’acqua in eccesso.
Servite le polpette tiepide accompagnate dalle verdure stufate.

aggrassatu, aggrassato o agglassato

Chiamalo come vuoi, appena pronunci ‘sta palora, in Sicilia, si aprono i cuori, si commuovono le anime, s’accappona la pelle per l’emozione di un sapore di altri tempi. Poi se chiedi la ricetta scopri che esiste una serie interminabile di varianti con la l’assicurazione da parte di ogni famiglia, della vera paternità, autorevolezza e originalità della preparazione. Di spezzatino si tratta ma la bontà all’assaggio è commovente. Giuro!
Ecco, quando si dice che le ricette devono essere tramandate di madre in figlia è la pura e sacrosanta verità; s’annunca si perdono le tradizioni familiari e non è bello. Questa variante me l’ha raccontata la zia Mariella, è la ricetta di sua mamma e io la trascrivo qui con le sue precise ‘ntifiche indicazioni per i posteri e per me figghia, sempre che gliene freghi una beneamata.

 La zia Mariella dice che sua mamma, la nonna Venera, non usava sfumare la carne col vino, “nella maniera più assoluta”, niente patate e qualche coccitello di pomodoro.
Una cosa è certa, le cipolle devono essere assai picchì devono caramellare durante la lunghissima fase di cottura e si riducono di molto; anche la carne del resto, lo spezzatino, sia in bianco che al sugo ha un epiteto,‘svergogna famigghie’ proprio perché compri tre chili di carne e si riduce a un mossiceddu.
Non vi pozzu cuntari come viene la pasta condita con il sugo della carne e una spolverata di ricotta infornata, lassamu peddiri va!
per 4 cristiani
500 g di spezzatino di vitello
700 g di spezzatino di maiale (punta di petto)
1,500 g di cipolle rosse
5 pomodori datterino grossi
q.b. brodo vegetale
4-5 cucchiai di olio extra vergine d’oliva
sale e pepe
soffriggete, in un tegame capiente, la carne nell’olio caldo a fuoco vivace fino a quando la carne si colora ben bene. Aggiungete le cipolle affettate finemente con una mandolina. Fate insaporire mescolando aggiungete i pomodori, il brodo vegetale, un po’ sotto il livello della carne. Coprite e cuocete a fuoco lento per un paio d’ore, mescolando ogni tanto. Quando la carne sarà cotta, ponetela in una ciotola e continuate a cuocere fino a ottenere una crema di cipolle.

di fanatismo e di altri dei

Sono una fanatica, si dice così no? Anche se in genere, è un termine usato nell’accezione negativa, io sono una di quelle fanatiche che si entusiasmano e rincorrono per strada gli odori con la nasca all’insù. Nulla di negativo se non, forse, un tantino sconveniente per una signora.
 Sugnu smaniosa, esagerata e zelante nel cercare provenienza e a carpirne la base. Capire ‘nzoch’è gghiè non è facile, no no e non ci ‘nzertu sempre ma vago nell’aere, carica di ipotesi e congetture. Tutto questo per dire che mi piacciono gli odori e soprattutto le spezie. Comprate spezie intere e macinatele al momento, sentirete chi ciavuruuuu.
Il Pimento o pepe garofanato non è un vero e proprio pepe  ma una bacca derivata dai frutti secchi di un alberello sempreverde, originario della Giamaica, della famiglia delle Myrtaceae, il Pimenta dioica. Ha un odore e un sapore che somigliano a un mix di cannella, chiodi di garofano e noce moscata, le mie spezie preferite.

Triglie di scoglio con sfoglie di patate e pane aromatico
sulu ppì mia, per un cristiano quindi
una piccola patata rossa, circa 70 g
20 g di pane “vecchio” di due-tre giorni, grattugiato
180 g di filetti di triglie di scoglio
olio extra vergine d’oliva
pimento macinato al momento
sale

mescolate la mollica del pane con una generosa macinata di pimento, ungete una piccola teglia  di ceramica 13×16 cm, distribuite un po’ del mix di pane e pepe ed eliminate quello in eccesso. Affettate molto finemente la patata rossa, io ho una mandolina che riesce ad affettare a 1,5 mm. Più il taglio è sottile e più velocemente cuoceranno le patate.
Distribuite uno strato di patate sul fondo della teglia, macinate un po’ di sale e adagiate i filetti di triglie dal lato della pelle, salate, distribuite ancora una manciata di pane, uno strato di patate, sale e l’ultimo strato di pesce, continuate con il pane e finite con l’ultimo strato di patate sale e pane, distribuite un’idea di olio chiudete con il coperchio e infornate a 180°C per 30-40 minuti. Tirate fuori dal forno, eliminate il coperchio, irrorate con un giro d’olio crudo e servite.

una Corona per un pollo, anzi per due

ci sunnu picciriddi che pensano che i polli abbiano 4 zampe. Io per esempio, quann’eru nica, ne ero convinta. Mah! Quindi per fare ‘sta pietanza vi servono le cosce di 2 polli.
La ricetta l’ho vista su questo sito, manco a dirlo, anzi lo dico , la ricetta originale l’ho variata quel poco che mi serviva per azzizzare il gusto finale ai palati di famiglia. La birra scura, per intenderci l’ho messa bionda e una sola, due mi parsiru assai. Vi cunto chi fici:

Pollo alla birra chiara
4 grosse cosce di pollo con la pelle
due cucchiai di olio extra vergine d’oliva
in una larga padella o meglio in un capiente wok di terracotta, scaldate l’olio, rosolate le cosce da ambo i lati e mettetele da parte in una terrina, pelate
2 patate grosse o 4 piccole
e 2 carote grosse e tagliate a pezzetti, lavate
un cuore di sedano e tagliatelo a rondelle.
Tritate un cipollotto, ponetelo nel wok con l’olio e fatelo imbiondire; unite le verdure,
un cucchiaio di senape di Digione,
un cucchiaio di estratto di pomodoro
una bottiglia di birra Corona
e 500 ml di brodo di pollo, unite le cosce di pollo e portate a bollore; proseguite la cottura abbassando la fiamma al minimo per circa mezz’ora con un coperchio.
Sciogliete 75 g di burro a temperatura ambiente con qualche mestolo di liquido di cottura,
setacciate 60 g di farina e aggiungetela poco alla volta al composto di burro e sugo di pollo, mescolate per evitare grumi. Passate con un setaccio la crema e ponetela nel wok, cuocete ancora dieci minuti e spegnete.
Finite il piatto con alcuni pistilli di zafferano.
Coprite e fate raffreddare. prima di servire sfilacciate la carne eliminando le ossa, sarà più agevole consumare il pasto.

Che mi priparò Adelina?

L’estate del 1999 non è stata particolarmente calda ma ppì mia fu rovente; tipicamente l’afa siciliana si alterna tra passate di scirocco notevoli e brezza marina che arrifrisca, ma figgioli, d’estate c’è da aspittarsi ‘n’anticchia di cavuru, c’è picca ‘i fari.
A quei tempi avìa ‘na panza quanto un pallone, con dentro Carlotta che scalciava, comodamente immersa nella sua culla d’acqua e senza alcuna fretta di venire alla luce. Trascinare quella panza nel periodo più caldo dell’anno è stato faticoso, avevo perso la mia proverbiale voglia di canicola, non la trovavo da nessuna parte; il caldo era opprimente, mi sarei scippata la pelle per avere ‘n’anticchia di refrigerio. Passavo da una cammera all’autra cercando la stanza più fresca, un filo di vento, un’idea d’aria, con un un libro in mano, “La voce del violino“. Pagine quelle, che accesero la passione per il mio autore preferito. Fogli letti in un soffio per la trama avvincente, per la parlata menza sicula e menza taliana, per la scoperta di personaggi che parìanu veri, simpatici e sempre sorprendenti. Poi è stato virale, come si dice oggi, appena niscìa un romanzo nuovo, sia storico che poliziesco, era ed è, una corsa in libreria per averlo. Non lo comincio subito, no, devo allontanare il momento in cui arrivo all’ultima pagina, lo centellino, leggendolo a picca a picca. 
Per fortuna, il fastidioso caldo durò, per me, solo quell’estate, ora m’arrusico la pelle fino alle ossa e mi piaci assà, come sempre.

Il commissario è un manciataru di prim’ordine, ci piaci manciari pisci, trigghie di scoglio e fritture varie, sempre in silenzio religioso e macari da sulu. La prima cosa che fa appena arriva ‘a casa, la sira, è talìare nel frigo o nel forno, per vedere che ci priparò la cammarera Adelina ppì manciari.
Triglie di scoglio con la cipuddrata per il commissario Montalbano e ppì mmia.
per due cristiani
6 triglie
farina di rimacinato integrale q.b.
olio extra vergine d’oliva
4 cipolle rosse (300 g circa)
un cucchiaino di zucchero semolato
100 ml di aceto di vino bianco
menta
maggiorana

eviscerate le triglie, eliminate le teste e le code con un coltello da cucina, dividete in due e sfilettatele, eliminando la spina centrale e tutte quelle che sentirete al tatto. Lavatele sotto l’acqua corrente e tamponatele con carta da cucina.

Pulite le cipolle, affettatele a 2-3 mm e friggetele in 70 g di olio e un goccio d’acqua a fuoco dolce con il coperchio, appena prendono colore, salate, zuccherate e unite l’aceto, mescolate e alzate la fiamma per fare evaporare, aromatizzate con la menta spezzettata e le foglioline di maggiorana. Togliete la cipolla dal fuoco e nella stessa padella friggete con l’olio rimasto (se serve altro olio aggiungetelo ma pochissimo) precedentemente infarinate, salate leggermente.

Disponete metà della cipolla in un piatto, adagiate metà dei filetti di triglia e servite subito, decorando con foglioline di erbette.