un pane che profuma di gelsomino

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e perché no? Ho aspettato otto anni prima di cimentarmi ad aromatizzare con dei fiori qualcosa da mangiare. Quannu fici i biscotti alla lavanda, ci furono pareri contrastanti, quindi, anche se avevo ‘sto pallino di preparare un pane che ciavurasse di gelsomino, ci ho pensato un po’ (forse troppo). Poi mi sono detta: che può succedere?

500 g di farina di tipo due e germe di grano
un cucchiaio d’olio extra vergine d’oliva
un cucchiaino raso di zucchero
5 g di lievito di birra fresco
10 g di sale
una macinata di pimento
8 g di fiori di gelsomino da raccogliere la sera quando si schiudono
400 ml di acqua per l’infuso più quella che serve per completare l’impasto

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Poni i fiori di gelsomino in una ciotola con 400 ml di acqua, copri con la pellicola e lascia in infusione per tutta la notte. Il giorno dopo filtra l’acqua eliminando i fiori.
Misura l’acqua; io ne ho ricavato circa 200 ml ne ho aggiunto ancora circa 100 ml. Comunque verifica la consistenza dell’impasto mentre lo lavori, potrebbe servirti più o meno acqua.
Nella planetaria metti la farina con il lievito sbriciolato, il pimento e lo zucchero, avvia la macchina, aggiungi l’olio e poco per volta l’acqua aromatizzata con l’aggiunta. In ultimo aggiungi il sale e fai incorporare. Realizza una palla e metti a lievitare dentro una ciotola coperta con uno straccio umido fino al raddoppio.
Riprendi  l’impasto, lavoralo leggermente su una spianatoia, realizza una palla e ponilo nel cuoci pane con il fondo infarinato; chiudi con la cloque e fai lievitare ancora da 20 minuti a mezz’ora.

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Se ti piace la decorazione sul pane fai come ti cuntu: togli la cloque e spolvera con della farina. passa la mano con delicatezza per uniformare la superficie. Con una lametta fai un taglio a croce e dei disegni di foglioline. Guarda questo video della mia amica SarahFel, è espicativo!
Rimetti la cloque e inforna a 230°C per circa 40 minuti. Sfornerai un pane delicatamente ciavurusu al gelsomino con un sentore di garofano. pane al gelsomino_00004

una bella idea

 

tonno_00001ci sono piatti che preparo da sempre ma che non sono presenti in questo diario; picchì, non te lo sacciu diri, probabilmente perché, nonostante non siano delle vere e proprie ricette, restano delle belle idee ma se non mi riesce un bel piatto dal punto di vista estetico, non lo pubblico.
È il caso di questo piatto, una fesseria se vuoi, niente di complicato ma buono e scenografico.  Questa bella idea di avvoltolare il pesce in un gomitolo di patate l’ho letta, un po’ di anni fa, su qualche rivista; non ti seccare, non mi ricordo, forse era un “A Tavola” di duemila anni fa, abbi pazienza. Comunque, il concetto è semplice devi solo munirti di un accessorio magico, nei tempi passati usavo lo schiaccia patate ma non è assolutamente la stessa cosa, fidati. Oggi ho un accessorio Magimix che mi lascia “giocare” con le verdure e, fidati ancora una volta, gli spaghetti di patate vengono favolosi con lo Spiral Expert. Prepararli è facilissimo, peli le patate e le passi nello Spiral Expert, otterrai degli spaghetti fantastici, sembrano veri spaghetti di grano duro ma cotti; li metti in acqua fredda per farli mantenere belli sodi e poi al momento di avvoltolare il pesce li scoli ben bene.
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A questo punto, il gioco è fatto: prendi un trancio di pesce, quello che vuoi, anche “stopposissimo” come il tonno, gli dai una spolverata di sale affumicato, una di pepe garofanato, una massaggiata con un’anticchiedda d’olio extra vergine d’oliva. Avvoltola ogni trancio con gli spaghetti di patate. Poni su una placca foderata con carta da forno leggermente unta d’olio, macina un po’ di sale e un po’ di pepe, inforna a 180°C per circa 15 minuti o fino a quando le patate saranno dorate. Nel frattempo prepara un guazzetto d’accompagnamento, usa una quindicina di pomodorini a testa, sporca di olio una padella, aggiungi i pomodorini tagliati a metà, capperi e cucunci dissalati, a piacere, uno spicchio d’aglio tagliato a metà, un peperone abbrustolito e privato dei semi, della pelle e tagliato a filetti, una decina di foglie di basilico. Fai cuocere schiacciando i pomodorini, aggiungi un pizzico di bicarbonato, uno di zucchero e il sale. Fai stufare e poi servi nei piatti, distribuendo uno specchio di pomodorini e sopra adagia un gomitolo di tonno e patate. Non è una bella idea? Io dico di si!

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Creme tart

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se aspettavo ancora un po’, questo post diventava “fuori stagione” in effetti sono al limite. Le ciliegie oramà fineru; quelle che trovo hanno di nuovo i prezzi alle stelle. Vero è che questa torta scenografica si presta a mille “vestiti” quindi la decorazione è stagionale, la base resta strepitosa comunque e la cosa bella è proprio questa.
Mi piace assai, la sua bellezza è pari alla sua bontà, la volevo fare da una marea di tempo ma sul ueb ci sono millemila ricette, di quale fidarsi? Qualche mese fa, da Tony il mio parrucchiere, ho incontrato la mia amica Agnese, lei è maestra di torte, bravissima, non ci vedevamo da quasi “un secolo” e, indovina? mi cuntò che aveva realizzato la creme tart… mizzica, chi meglio di lei? Pigghiai un pizzino elettronico ( le note del cellulare ghghghghgh), mi scrissi la ricetta e ora te la cuntu.

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250 g di farina
125 g di burro morbido
100 g di zucchero a velo
un tuorlo
un uovo intero
5 g di lievito per dolci
un pizzico di sale
la scorza grattugiata di un limone
Con le fruste, monta lo zucchero con il burro e la scorza del limone, aggiungi le uova e poi la farina, il lievito e il sale, amalgamando con una spatola, delicatamente. Stendi un foglio di pellicola e avvolgi la frolla che sarà molto morbida, a fortiori con questo caldo. Ti consiglio, quindi, di lavorare con un leccapentola per raccogliere tutto il composto e compattarlo aiutandoti con la pellicola stessa. Poni in frigo, Agnese suggerisce almeno un paio d’ore, io la preparo la sera e la faccio riposare tutta la notte in frigo.

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Trascorso il tempo di riposo, recupera la frolla e dividi in due panetti, uno rimettilo in frigo, l’altro stendilo tra un foglio di carta forno e uno di pellicola, su un piano freddo, di marmo sarebbe l’ideale. Realizza la forma desiderata con una dima: io ho fatto una corona ma vanno di moda lettere e numeri per festeggiare compleanni o ricorrenze diverse; trasferisci la frolla su una base liscia, facendo scivolare la carta forno, bucherella con i rebbi di una forchetta e fai riposare in frigo per circa 15 minuti, nel frattempo realizza l’altra base e ponila in frigo. creme tarte secondo disco_00002_01

Accendi  il forno a 160°C e inforna la prima base per circa un quarto d’ora, comunque per la cottura basati sulla conoscenza del tuo forno e controlla il processo. Sforna e fai raffreddare completamente prima di maneggiarla. Cuoci anche la seconda base e fai raffreddare.
Agnese per il ripieno ha realizzato una sorta di crema diplomatica, ma non so in che proporzione, io invece ho riempito la mia sac-a-poche con una namelaka.

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340 g di cioccolato 
400 ml di panna fresca
200 ml di latte intero
10 g di sciroppo di glucosio
4 g agar agar o di gelatina in fogli 

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taglia a pezzetti il cioccolato bianco, ponilo dentro un pentolino e scioglilo a bagnomaria. Se usi la gelatina mettila ammollo in acqua fredda per una decina di minuti e poi l’aggiungi al latte caldo, strizzata; se invece usi l’agar agar porta a bollore il latte e aggiungi la polvere, mescola per scioglierla e poi aggiungi il glucosio.
Versa il cioccolato dentro un contenitore grande abbastanza per contenere tutta la crema, versa un terzo di latte caldo e con un cucchiaio mescola per farlo assorbire dal cioccolato. Procedi allo stesso modo per fare assorbire il latte rimasto e infine la panna. Mescola ancora per amalgamare. Immergi un frullatore a immersione e frulla per circa un minuto lasciandolo fermo sul fondo, copri con la pellicola e poni in frigo tutta la notte.

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Il giorno dopo metti la crema in una sac-a-poche, sporca un piatto da portata per fissare la prima base della torta, distribuisci tanti piccoli fiocchetti fino a ricoprire la superficie, adagia l’altra base e rifai il processo.

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Metti in frigo e fai rassodare, la torta è molto delicata, tema il caldo. Decora come più ti piace, con fiori edibili e frutta di stagione, io ho realizzato dei biscotti con la frolla avanzata e ho usato anche delle piccole sfoglie di cioccolato. Tu, fai tu.
Grazie Agnese!

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Morbidi intrecci e sapori memorabili

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Io sugnu ‘ntipatica e pillicusa, sicuramente per quanto riguarda marmellate e confetture. Almeno di questo, sono consapevole. Sono difficile, critica e pignola, picchì sunnu prodotti che prepara me matri, in casa con le sue manuzze sante; mi regala un prodotto genuino, sapendo esattamente da quale giardino siciliano arriva la materia prima. Sono sicura  al cento per cento che il prodotto finale, è esattamente come lo voglio: fidati che le aspettative sono pari al risultato e difficilmente mi accontento di quello che offre il mercato, anzi quasi mai.
Poi incocciai Zikilia, che praticamente realizza prodotti di impareggiabile bontà, esattamente come preparati da me matri. Picchì lo sento appena apro il barattolo, un ciavuru mi trasi nelle narici fino al ciriveddu. C’è tutto: passione, arte, ricette antiche siciliane e materie prime dell’Isola del Sole, biologiche e controllate. E poi c’è una varietà altissima di scelta.
E allora nenti fici? Seeeee: ho impastato, anche col caldo torrido e una elevatissima percentuale di umidità, addumai il forno e m’arricriai. A colazione brioscia farcita con marmellata di arance e zenzero e una cascata croccante di mandorle a lamelle.
che fa tu cuntu? Pigghiati un pizzinu e segnati ‘sta ricetta.

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600 g di farina di grano tenero di tipo 0
300 ml di latte intero
5 g di lievito di birra fresco
100 g di burro morbido
100 g di zucchero di canna
un uovo
un pizzico di sale
300 g di marmellata di arance e zenzero Zikilia
una manciata di granella di zucchero o zucchero di canna
60 g di mandorle a lamelle

scalda pochissimo 100 ml di latte, versalo tiepido in una ciotolina e sciogli il lievito con un cucchiaino di zucchero e 50 g di farina; poni in un luogo riparato e fai lievitare fino al raddoppio, con questo caldo ti bastano pochi minuti, circa dieci, undici al massimo. Nel frattempo prepara gli altri ingredienti nella tua impastatrice: il resto della farina, lo zucchero rimasto, il burro morbido. Prepara anche gli ingredienti liquidi; stempera leggermente il latte rimasto,  aggiungi l’uovo e sbatti con una forchetta.

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Impasta gli ingredienti secchi per amalgamarli, poi aggiungi la pastella iniziale con il lievito e continua a impastare aggiungendo gli ingredienti liquidi, poco per volta. Fai attenzione, controlla l’impasto durante la lavorazione, devi ottenere un composto morbido ed elastico, lucido ma non appiccicoso. In reazione all’umidità dell’aria e alla igroscopicità della farina potrai avere bisogno di meno liquido o di ‘n’anticchiedda chiossà (o un po’ di più). Quindi è importante controllare l’assorbimento durante la lavorazione. Quasi a fine lavoro aggiungi il sale, realizza una palla e ponila a lievitare dentro una ciotola coperta da un panno pulito, dentro il forno spento con la luce accesa. Sempre grazie a questo caldo africano, il mio impasto ha quasi triplicato il suo volume in un’ora.

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Recupera la brioche, stendila con un matterello su un piano pulito e realizza un rettangolo di 40×50 cm. Distribuisci la marmellata con il dorso di un cucchiaio.

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Spolvera 50 g di mandorle a lamelle sul piano del rettangolo e poi arrotolalo dal lato lungo.

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Incidi il cilindro di pasta brioche per tutta la lunghezza lasciando il fondo attaccato. Piega le due estremità verso di te e intreccia i lati lunghi in una morbida treccia con la parte tagliata verso l’alto. Imburra e infarina uno stampo in ceramica dai bordi alti (39,5 x 16,5 x 15 cm) alloggia la treccia e copri pre fare lievitare ancora, fino a quando raggiunge il bordo sella teglia. Distribuisci le mandorle rimaste e la granella di zucchero.

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Inforna coperto per 50 minuti in forno caldo a 180°C poi togli il coperchio e fai dorare cinque minuti. Sforna e fai raffreddare nello stampo qualche minuto prima di sformare la treccia. 

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Che fa, poi mi cunti comu ti vinni?

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corona di pane ai peperoni e basilico

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Se ti piacciono i peperoni questo pane sta ppì tia. Morbido, ciavurusu, gustoso sia schitto che maritato. ‘Nsumma, pigghia un pizzino e segnati ‘sta ricetta che facilissima è; niente di complicato, in un vidiri e svidiri la fai. Poi mi cunti evè?

2oo g di farina di grano tenero di tipo 2
300 g di semola di rimacinato
un cucchiaio d’olio extra vergine d’oliva
un peperone rosso medio
un cucchiaino di zucchero
una ventina di foglie di basilico
10 g di sale più un pizzico per il peperone
8 g di lievito di birra fresco
circa 250 ml di acqua
scaglie di mandorla

Arrostisci il peperone su un fornello, da tutti i lati e poi chiudilo dentro un sacchetto del pane fino a quando sarà tiepido. la pelle verrà via con facilità, aprilo, togli il picciolo e i semi mettilo dentro un bicchiere dai bordi alti con il basilico un pizzico di sale e un cucchiaio di olio extra vergine d’olivai. Frulla tutto con un frullatore a immersione e fai raffreddare completamente. Mescola le due farine nel tuo impastatore, sbriciola il lievito e fai partire la macchina per qualche istante. Se utilizzi il Cook Expert come me, usa il programma esperto a velocità 4 per 30 secondi. Seleziona il programma pane/brioche e fai partire la macchina, aggiungi la crema di peperoni, lo zucchero e poca acqua per volta. quando la macchina si ferma aggiungi il sale e falla ripartire finendo l’acqua. Mi sento di fare una considerazione riguardo alla quantità d’acqua; potrebbe servirtene qualche goccia in più o in meno, dipende molto dall’umidità dell’aria e dalla capacità di assorbimento della farina, quindi aggiungila poco per volta. L’impasto dovrà essere umido ma non troppo, manipolandolo le mani non si devono sporcare.
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Realizza una palla e metti l’impasto a lievitare dentro una ciotola leggermente infarinata, coperta da pellicola, dentro il forno spento con la luce di cortesia accesa. Con questo caldo in un’ora il mio impasto stava scoppiando; ungi lo stampo a corona di Emile Henry pennellandolo con dell’olio, spolvera con della farina eliminando quella in eccesso e poi suddividi in panetti pesando circa 100 g di impasto, realizza una pallina richiudento verso l’interno e alloggia negli incavi dello stampo. Chiudi con il coperchio e fai lievitare ancora 40 minuti. Accendi il forno a 220°C, spennella la superficie della corona con dell’olio e distribuisci le scaglie di mandorla, spolvera con pochissima semola di rimacinato e inforna per circa mezz’ora, poi togli il coperchio e fai dorare 3-4 minuti. Scoperchia e fai raffreddare nello stampo qualche minuto prima di sformare il tuo pane.

 

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tinnirumi a tinchitè

wok EH calamaretti e tenerumi_00002Qui, nell’Isola del Sole, appena arriva l’estate affacciano le pampine di tenerumi, le foglie tenere della zucchina longa ppì capirici. Ah e che succede; non ti pozzu cuntari picchì ce ne andiamo tutti fuori di testa, perdiamo il senno e mangiamo tinnirumi a tinchitè. Qui a Palermo, dove abito da 25 anni, la pasta con i tenerumi la mangiano in brodo, caldissima con gli spaghetti spezzati, tipicamente. A Messina, dove sono nata, invece è in versione pasta asciutta con un po’  di pomodoro per colorare di rosso il verde brillante delle pampine. Il mio sposo si è convertito alla seconda ricetta ringraziando il cielo picchì si può godere la pasta regina dell’estate senza sudare mangiandola come quando la mangiava in brodo, bollente.
Pigghiati un pizzino e segnati ‘sta ricetta di ‘sto piatto unico e poi mi cunti.

per 4 cristiani
700 g di calamaretti
un kg di pomodori rossi a grappolo
una ventina di foglie di tenerumi
una cipolla rossa di tropea
uno spicchio d’aglio
basilico
320 g di cous cous integrale precotto
due cucchiaini di curry
olio extra vergine d’oliva
sale
pepe

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Lava bene le foglie dei tenerumi e lessali in abbondante acqua salata per 10, 15 minuti, scolali bene e tritali. Conserva l’acqua di cottura.
lava i calamaretti, eviscerali, elimina la pelle, la cartilagine interna, gli occhi e la bocca; tagliali a rondelle e mettili da parte.
Sbollenta i pomodori per qualche minuto, pelali, elimina i semi e tritali a concassè. Trita l’aglio e la cipolla, in un wok capiente aggiungi un paio di cucchiai d’olio e soffriggi la cipolla con l’aglio, aggiungi i pomodori e cuocili qualche minuto. Quando l’acqua di vegetazione sarà asciugata aggiungi i tenerumi e i calamari, aggiusta di sale e spezzetta qualche foglia di basilico, chiudi con il coperchio per 5 minuti poi cuoci senza coperchio ancora una decina di minuti o quando vedrai i calamari cotti.
Versa il cous cous dentro un piatto largo, versa 4 cucchiai d’olio, il curry e 400 ml di acqua di cottura dei tenerumi, bollente. Sgrana con una forchetta, chiudi con un coperchio e fai riposare  circa 5 minuti, sgrana ancora con la forchetta e fai intiepidire.
Servi il cous cous in forma se ti piace, utilizzando un ring per agevolare la forma, oppure a cucchiaiate sul piatto insieme con il condimento.

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pane di segale al ciavuru di zafferano

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“In matematica e fisica, il flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie orientata è definito come l’integrale di superficie del prodotto scalare del campo con il versore normale della superficie, esteso su tutta la superficie stessa” […]

Accussì parrò Wikipedia, per tutti quelli che masticano matematica e fisica attipo pane quotidiano. Oh, ma ppì mmia che mastico pane e ignoranza allo stato solido e tanticchia anche liquido, il flusso lo vedo solo in senso figurato; uno spostamento inesorabile di eventi, cose e/o persone verso un punto che, convenzionalmente chiamerei, fine.
Prendiamo, ad esempio, il flusso che trascina i figghioli #maturandi, spostandoli, loro malgrado, attraverso le tre prove scritte, verso il turbine dell’ultima prova, quella orale, verso la fine. Chi glielo dice che trattasi, non di fine ma di inizio?
Questo caso, preso in esame è ostico e io, secondo le convenzioni sancite dalla notte dei tempi, da buona sicula omertosa, “donna di panza”, nenti sacciu e nenti vogghiu sapiri. In poche parole me ne dovrei lavare le mai, come fece uno famoso.

Certamente io donna di panza sono, nel senso che so tenere un segreto, ma quello in questione è un nodo da risolvere, una matassa da spirugghiari, di certo non un segreto. Quindi, cara figlia mia, diciottenne e appassionata, la fine è solo il principio come i punti che compongono un cerchio. E tu, che della matematica sei innamorata sai che, “In geometria piana il cerchio è la parte di piano delimitata da una circonferenza ed è costituito dall’insieme infinito [leggasi INFINITO ndr] dei punti che distano da un punto dato, detto centro, non più di una distanza fissata detta raggio.” […] sempre per citare la suddetta fonte attendibile.

Se ti trascrivo para para la condizione ‘u capisci megghiu, tu e to patri che parrate la stessa lingua e vi capite.

\overline {D}=\{(x,y)\in {\mathbb{R} ^{2}}:(x-a)^{2}+(y-b)^{2}\leq r^{2}\}.

A parole mie, ti amo infinitamente.
la mamma.

 

Durante la prima prova scritta, l’ansia mi manciò viva e quindi per distrarmi ho impastato un pane per la prima colazione, si mantiene per giorni ed è la base giusta per un velo di marmellata di arance biologiche, fatta dalla mia mamma, oppure per un intermezzo salato.

(Quando fu della mia maturità, non ero accussì ansiosa; chistu è un signu indiscutibile di vicchiaia!)

250 g di farina di segale integrale
100 g di farina di grano saraceno
250 g di semola di rimacinato
13 g di sale
40 g di sciroppo d’acero
un cucchiaio d’olio extra vergine d’oliva
10 g di lievito di birra
1/2 cucchiaino di pistilli di zafferano
350 ml di acqua
semi misti
fiocchi d’avena

 

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Pesta i pistilli di zafferano in un piccolo mortaio, aggiungi 60 ml di acqua bollente e fai riposare fino a quando l’acqua sarà tiepida.
Mescola le farine con il lievito, lo sciroppo d’acero, l’olio e il mix di acqua e zafferano, comincia a impastare aggiungendo l’acqua rimasta, poco per volta. Quando l’impasto è ridotto a grosse molliche, aggiungi il sale e continua a impastare con l’acqua. L’impasto dovrà risultare morbido e leggermente appiccicoso. Versalo su una spianatoia, allargalo e richiudilo verso il centro formando una palla che porrai dentro una ciotola coperta nel forno spento con la luce accesa.

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Fai lievitare fino al raddoppio, circa un’ora. Recupera l’impasto, lavoralo leggermente realizzando un cilindro; distribuisci con un pennello, un velo di sciroppo d’acero e rotola il cilindro di pane sul mix di semi e fiocchi d’avena, facendoli aderire.

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Imburra uno stampo per pane in cassetta, infarinalo ed elimina la farina eccedente. Adagia il pane e fai lievitare dentro il forno spento con la luce accesa ancor circa 45 minuti. Inforna a 230°C per circa 40 minuti, Sforna e fai riposare il pane nello stampo qualche minuto, prima di sformarlo.

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sensualissima mousse

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Il cioccolato, per me, non ha stagione. Non riesco a decretare la fine e l’inizio dell’uso di questo alimento, che regala felicità ad ogni muzzicuni.  C’è chi associa il cioccolato ai mesi invernali, per me è quasi un sacrilegio. Quando l’astinenza mi morde le viscere, iddu mi chiama: Cla, Cla, Cla… E che fa, non ci arrispunnu? Apro lo sportello della dispensa e astuto quella vocina dicendo: ah, qua sei?
Che poi, se non la stoppo, quella vocina non mi molla più. La conosco benissimo. S’insinua con sensualità fino all’anima, s’ammuccia dietro un velo di ipocrisia e vince.

per sei cristiani
250 g di cioccolato fondente
70 g di zucchero di canna scuro
20 g di burro
4 uova
250 ml di panna
250 g di fragole
foglioline di menta cioccolato (Mentha × piperita ‘Chocolate Mint’)

trita il cioccolato e ponilo dentro un pentolino che poi porrai su un altro con dell’acqua, sciogli a bagnomaria con il burro; mescola per amalgamare bene e fai intiepidire.
Separa i tuorli dagli albumi: sbatti i primi con lo zucchero fino ad ottenere una crema liscia, gonfia e chiara. Aggiungi il cioccolato tiepido, poco alla volta e mescolando con una spatola, dal basso verso l’alto senza smontare i tuorli. Monta separatamente gli albumi e la panna; ingloba prima gli albumi e poi la panna sempre con delicatezza. Versa il composto ottenuto in singole coppette e lasciale in frigo coperte da uno strato di pellicola per almeno un paio d’ore. Al momento di servire ponete qualche  fogliolina di menta e le fragole lavate, tagliate a fette o intere, con il picciolo ben in evidenza che servirà per la presa.

 

Porta del Vento winery

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Oggi ti porto in un posto memorabile, di quelli che ti s’attaccano al cuore attraverso un’immagine, un odore, un refolo di vento e un raggio di sole; ti porto mano manuzza a pochi chilometri da Palermo sulle colline di Camporeale a circa 600 m sul livello del mare, nell’azienda vinicola Porta del Vento di Marco Sferlazzo.

cipresso

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Ho approfittato dell’evento enoturistico dell’anno, Cantine Aperte 2018, per godere da vicino la bellezza della coltivazione della vite fino al suo prodotto finito, il vino. Dall’ingresso all’azienda, un filare di cipressi sempervirens accompagna fino alla cantina, scherma il vento che tipicamente soffia in questa vallata -da cui il nome-, e dà riparo alla ginestra in piena fioritura dal giallo abbacinante e dal profumo forte che ritroverò, dopo, anche nel vino.  Conosco bene la permacultura e il metodo di progettazione di gestione ecosostenibile degli spazi urbani e agricoli e i suoi tre principi fondamentali:

  1. la cura per la terra
  2. la cura per le persone
  3. stabilire limiti al consumo e alla riproduzione, e ridistribuzione del surplus

ma non avevo mai visto sul campo l’attuazione di questi e l’amore per la vite.

vigna

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Nel vigneto di Porta del Vento la coltivazione segue le regole della permacultura, in sinergia con il territorio e con le associazioni colturali, ottenendo un vino biologico certificato. Delle piante di rose sono collocate ad inizio del filare, usate come sentinelle per avere evidenza immediata di eventuali patologie, parassiti e carenze minerali. L’osservazione e l’interazione con la coltivazione è costante, anche l’integrazione è valorizzata; alcuni alberi di noce esistenti, collaborano al completamento del sistema agricolo, le erbe vengono lasciate crescere tra i filari a protezione del dilavamento del terreno, valorizzando la diversità della moltitudine di erbe spontanee.

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Per evitare l’uso delle concimazioni chimiche Marco ricorre alle risorse che la natura mette a disposizione gestendo più specie vegetali e sfruttando la simbiosi sotterranea delle stesse; ecco che, nella nostra passeggiata nel vigneto, scorgo delle piante di fave per migliorarne la fertilità. Mi sono documentata e ho letto che le leguminose sono in grado di produrre una grande quantità di biomassa che serve a reintegrare la parte organica del terreno dopo l’impoverimento della vendemmia. Non so ancora come, ma provvederò a documentarmi meglio.
Un’altra considerazione che mi preme raccontarti è legata all’ultimo dei principi fondamentali della permacultura, quello della limitazione della produzione; “la resa è bassa” ci racconta Marco , “circa quaranta quintali per ettaro”. E la scelta di coltivare un vitigno di catarratto con piante vecchie di cinquant’anni comporta la maturazione d’uva di buon livello, anche quando l’annata è sfavorevole ma la produzione è ridotta. La vendemmia viene fatta a mano e l’uva appena raccolta viene trasferita in cantina per la fermentazione e le successive lavorazioni.

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Dopo il tour tra i filari con cambiamenti di dislivello e panorami mozzafiato, siamo passati con grosse aspettative e affamati di sapere, alla degustazione raccontata da Marco e supportata con il cibo delizioso preparato dalle mani sapienti di Mira. Esperti padroni di casa e incantatori di ospiti, raccontano la loro avventura dello spirito tra sudore e sacrifici per allargare la base agricola, renderla sostenibile ed etica; io penso che abbiano centrato l’obiettivo.

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perricone

perricone 2voria bianco

voria rosè

calice ambrato gli arancioni

soffici pancake russi

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I blini sono delle frittelle russe, molto simili ai pancake, chiù nicareddi, da provare assolutamente. Sono preparati con  farina di grano saraceno, latte e yogurt; sono un delicato supporto a gusti risoluti, accippati, come il caviale e il salmone affumicato; almeno così vorrebbe la tradizione d’iddi. I francesi, invece, preferiscono ridurre il pesce in un composto spalmabile, fa molto chic, secunnu mia. Io fici come la testa mi fici riri.
Ho realizzato una finitura a base di pesce azzurro, accattai uno sgombro e l’ho cotto in un tegame, dopo averlo eviscerato, con un battuto di sedano, carota e scalogno poca acqua e un cucchiaio d’olio; poi l’ho sfilettato con tantissima pacienza e l’ho condito con un cucchiaio d’olio extravergine d’oliva e qualche goccia di lime. A parte ho lessato in acqua salata, 250 g di asparagi, mondati e lavati, dai quali ho prelevato solo le punte, il resto l’ho utilizzato per condire un piatto di pasta a base di verdure. Ho impiattato distribuendo sui blini una foglia di basilico, parte del pesce cotto e insaporito e un paio di punte d’asparagi. È un antipasto leggero e scenografico. Se non ti va di stare a pulire e cucinare il pesce, puoi ovviare con dello sgombo in scatola al naturale, non sarà la stessa cosa ma megghiu di nenti.

per 12 blinis
100 g di farina di tipo 0
50 g di farina di grano saraceno
150 ml di latte
150 g di yogurt greco
burro
un uovo e due albumi
un pizzico di zucchero
8 g di lievito in polvere o se preferisci 4 g di lievito di birra
scalda il latte, appena appena, mescola lo yogurt; aggiungi le farine, lo zucchero, il tuorlo e il lievito. Sbatti a neve gli albumi e poi aggiungili al composto con movimenti dall’alto verso il basso per non smontare il composto. Copri e fai lievitare per circa un’ora in un luogo tiepido. Ungi un padellino con un velo di burro e cuoci, a fuoco basso, un cucchiaio colmo di pastella. Appena sulla superficie si formeranno dei buchetti è il momento di girare le frittelle per cuocerle dall’altro lato. Poni su un piatto al caldo e cuoci la pastella rimasta allo stesso modo. I  blini vanno serviti tiepidi quindi ti consiglio di prepararli in anticipo perché ci vuole tempo, almeno un’ora per cuocerli tutti, e poi di scaldarli in forno prima di servire.

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