tempu ri capuna – è tempo di capone-

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Questo è il periodo giusto per mangiare il capone o lampuga, un pesce azzurro ritenuto poco chic, ordinario, rozzo e chi più ne ha, più ne metta. Ma pensa però che a San Vito Lo Capo c’è una rassegna gastronomica dedicata a questo pesce che si svolge ai primi di ottobre e che quest’anno sarà dal sei all’otto ottobre. Un bel modo per rivalutare un pesce buonissimo e straricco di Omega3.
Considerando che la carne del capone è saporita, bella soda ma leggermente stopposa, ho pensato di lavorare il pesce, ridurlo a filetti e realizzare una panatura speciale per conservarne umidità, morbidezza e regalare un sapore agrodolce con l’ingrediente segreto: il cappero di Pantelleria candito realizzato dalle sapienti mani di Nino e Belkis nel loro laboratorio, Don il candito siciliano

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Niè, che t’ha diri? Un connubio clamoroso, tanto da fare venire lo sdilliniu anche ai più scettici! Un patto d’amore tra il capone e la chiappara duci e che ora ti cuntu.

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per 2-3 persone:

Un capone da 1,200 kg in filetti (fatti dare la testa perché è piena di carne)
150 g di piacentinu di Enna

per la panatura
q.b. olio extravergine d’oliva
150 g di pangrattato meglio se panko (panatura di pane fresco)
50 g di pecorino stagionato siciliano
50 g di capperi canditi con la loro canditura
1 piccolo spicchio d’aglio
1 mazzetto di prezzemolo
una cima di origano
peperoncino
una punta di zafferano

per il salmoriglio
q.b. olio extravergine di oliva
un mazzetto di menta fresca
1 spicchio d’aglio
una cima di origano
50 g di capperi canditi con la loro canditura
4 cucchiai di aceto balsamico
pistilli di zafferano
sale

Prepara il salmoriglio con qualche cucchiaio d’olio, l’origano, l’aglio tritato un pizzico di sale, l’aceto, il cappero candito con la sua canditura, i pistilli di zafferano e la menta tritata. Metti a marinare i filetti di capone in olio e poco sale; prepara la panatura con il pecorino grattugiato, il peperoncino, il prezzemolo, l’aglio e l’origano tritati, lo zafferano, il cappero candito col la sua canditura e 2 cucchiai d’olio;  amalgama l’impasto e impana i filetti di pesce premendo ben bene in modo da far aderire il mix e cuoci in una padella antiaderente rovente per pochi istanti con un coperchio. Impiatta il pesce caldissimo,  adagia il piacentinu di Enna tagliato a fette e irrora con il salmoriglio. E poi mi cunti.

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la tradizione del 13 dicembre

 

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In Sicilia, il 13 dicembre, un siciliano si sveglia e sa che deve festeggiare Santa Lucia.
In Sicilia, il tredici dicembre un palermitano, un messinese e un catanese si svegliano e sanno che devono friggere una pietanza che mette famigghie contro famigghie.
Alla fine, in Sicilia, il tredici dicembre, non è importante dove campi e come appelli la pietanza; l’importante è friggere.
Te lo dico io che sono una messinese che ha sempre chiamato gli arancini, arancini. Da quasi trent’anni abito a Palermo e gli arancini li chiamo anche arancine. Ma per forza, se sono tonde sono femene, lisce e morbide, perfette, quindi sono femmine! Se hanno la punta, si capisce, masculi sunnu; pizzuti che parunu cimiari, parunu arboli sbattuliati dal vento, masculi! Poi c’è la versione ovale che pare (pare) mettere tutti d’accordo e qui non metterei alcun genere accussì non abbattemu l’omofobia!
Allora la ricetta più vicina alla tradizione è questa che ti cuntu oggi, anche se mutuata dalla mio modo di cucinare; nel 2017 tinni desi n’autra, chiù finulidda ma questa di oggi è chidda vastasa!
Accumincia il giorno prima e accatta tutti gl’ingredienti per i condimeti accarne e abburro
400 g di tritato misto, maiale e vitello
600 g di salsa di pomodoro datterino
4 foglie d’alloro
una carota
una costa di sedano
una cipolla rossa
un cucchiaio di estratto di pomodoro
mezzo bicchiere di vino bianco fruttato
100 g di piselli surgelati
sale
pepe
noce moscata
un po’ di zucchero
una girata d’olio extra vergine
20 g di burro
prepara il ragù: trita la carota mondata e pelata insieme con la cipolla e il sedano, riponi dentro un tegame con l’olio, il burro e i piselli, scalda su fiamma dolce e mescola. Aggiungi il tritato e insaporisci con il soffritto, sfuma con il vino e fai evaporare. Sciogli nel composto l’estratto di pomodoro e poi versa la salsa. condisci con il sale, il pepe, la noce moscata, le foglie d’alloro e lo zucchero,;copri con un coperchio, abbassa la fiamma al minimo e fai pippiare per due ore, mescolando ogni tanto. Quando sarà pronto e a temperatura ambiente, copri con la pellicola e metti in frigo per tutta la notte.un kg di riso Carnaroli
due foglie d’alloro
un cuore di brodo alle verdure
due litri d’acqua
50 g di burro
una bustina di zafferano
100 g di parmigiano grattugiato
100 g di ricotta infornata
Prepara il riso: Metti sul fuoco l’acqua con il burro, l’alloro, lo zafferano e il cuore di brodo, mescola e porta a bolllore, aggiungi il riso e aspetta che assorba tutta l’acqua, senza mescolare. Otterrai una consistenza simile al risotto, all’onda.
Elimina le foglie d’alloro, fai intiepidire e aggiungi i formaggi, mescola e versa dentro una placca da forno, per fare raffreddare tutta la notte.Il giorno dopo prepara la conza per le arancine al burro.
75 g zi burro
80 g di farina
1 litro di latte caldo
sale
pepe
noce moscata
150 g di prosciutto crudo in una sola fetta da tagliare a dadini
200 g di provola dolce, tipo Galbanino o Sikanino che ti servirà anche per la versione accarne
in un tegame metti il burro  fallo sciogliere su fiamma dolce, aggiungi la farina e mescola con una frusta a fili, aggiungi il latte caldo, poco alla volta, facendolo assorbire al roux di burro e farina. Porta a bollore, sempre mescolando, spegni il fuoco, aggiungi il sale, il pepe, la noce moscata e il prosciutto. Mescola a fai raffreddare completamente.Ti serviranno ancora:
per la “lega”
500 g di farina
700 g di acqua
salePer la panatura:
700 g di pangrattato

A questo punto prepara la sequenza di passaggi sul tavolo, nell’ordine:
1) una ciotola piena d’acqua. Ti servirà per bagnarti le mani durante la preparazione delle arancine
2) la teglia con il riso
3) una ciotola con il ragù
4) una ciotola con il mix di besciamella e prosciutto
5) una ciotola con la provola dolce
6) la lega
7) pan grattato

prendi una porzione di riso, grande quanto la tua mano, fai una palla, scavala, con la mano messa a conca, fai sbordare il riso ai lati, allarga il buco, riempi con un cucchiaio di ragù e un paio di dadini di provola. Ricompatta la palla e forma l’arancina realizzando una palla. Passa le arancine dentro la pastella, poi nel pangrattato, accarezzale una ad una eliminando il pan grattato di troppo, poi ponile su un piatto, prima della frittura.
Un consiglio: usa uno scolapasta per filtrare il pan grattato ogni tanto. Deve essere sempre pulito e senza grumi, si formano inevitabilmente con la pastella che cade accidentalmente, all’interno.

Gli arancini hanno una forma a punta, sono sempre accarne, forma a parte seguono lo stesso procedimento delle arancine.
Le arancine abburro, a Palermo, hanno una forma oblunga, si procede sempre riempendo la mano di riso facendo la forma senza ripieno, poi si scava lasciano il riso marginalmene, si riempie con una cucchiaiata di besciamella, si aggiungono un paio di cubetti di provola dolce e si richiudono. Poi il solito passaggio dalla lega e dal pan grattato.

Per friggere ti servirà tanto olio, le arancine e gli arancini, devono affondare beatamente nell’olio. Tuffale per qualche minuto, girandole con tanta delicatezza, fino a doratura, poi adagiale su carta assorbente; falle intiepidire prima di addentarle!

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‘a tunnina ammuttunata

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Ammuttunata, un termine con diverse accezioni. Vuol dire abbottonata letteralmente o, parafrasando il carattere di una persona, la tendenza di un cristiano ad avere pochi rapporti socializzanti, chiuso o di poche parole. In cucina invece il termine richiama la lardellatura degli alimenti. Melanzane o tonno, ammuttunato significa imbottito. Tipicamente con aglio e aromi.
Questa ricetta è tipica del palermitano e io, che sono messinese, me la sono fatta raccontare e preparare da Paolo che invece è del luogo. Iddu mi cuntò che c’è chi mette i piselli nel suco ma lui no, nella sua famiglia non si usa e adesso anche nella mia.

Per otto cristiani
1,400 kg di tonno fresco in due fette o un tocco unico
6 spicchi d’aglio rosso di Nubia
un mazzetto di menta
olio extra vergine d’oliva
sale
pepe
circa un litro di passata di pomodoro
mezzo bicchiere di vino bianco
un cucchiaio di estratto di pomodoro ( o triplo concentrato di pomodoro)

Tampona il tonno con della carta assorbente per eliminare i liquidi in eccesso. Con la punta di un coltello affilato, incidi la carne effettuando delle piccole tasche. Taglia a listarelle 4 spicchi d’aglio, avvolgi ogni pezzetto con una fogliolina di menta e inserisci dentro la tasca, spingendo in profondità.
Massaggia il tocco con olio e sale per pochi istanti e metti da parte. In una casseruola capiente versa un fondo d’olio e due spicchi d’aglio schiacciati e fai imbiondire; elimina l’aglio e rosola il tocco di tonno da tutti i lati per sigillare la superficie esterna. Sfuma con il vino e fai evaporare. Sciogli l’estratto di pomodoro nella miscela del soffritto, con un cucchiaio di legno. Abbassa il fuoco al minimo e aggiungi la passata di pomodoro fino a coprire, quasi, il tocco.

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Porta a bollore e fai pippiare per circa mezz’ora con il coperchio, girando ogni tanto. Controlla la cottura del tonno (dipende dalle dimensioni del tocco) aprendo un po’ le fibre del pesce: a cottura ultimata estrai la carne dal tegame e metti al caldo. Continua la cottura della salsa per fare stringere il sugo e aggiusta di sale, aggiungi un pizzico di zucchero e la punta di un cucchiaino di bicarbonato per togliere un po’ di acidità del pomodoro. Servi con il sugo come secondo e pucciaci una scanata di pane. C’è chi aggiunge, alla preparazione, i piselli.
Questo piatto potrebbe diventare il condimento per un piatto di pasta se sminuzzi la carne, otterrai un ragù di pesce, favoloso.

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Morbidissima e ciavurusa Sicilia

pandarancia_00000Impegnati, impegnatissimi siamo su quest’Isola, a dissertare sulla maniera di definire masculu o fimmina, l’arancia. In dialetto è masculu e in italiano è fimmina. Lo trovi scritto in ogni dizionario: per la distinzione del frutto è usato il genere femminile per l’albero quello maschile, anche se in molti dialetti (anche della penisola) si continua a usare il maschile per indicare il frutto. ‘N’summa, un casino inenarrabile che mette famiglie contro famiglie in molte provincie siciliane quando si vuole indicare la famosa specialità siciliana. Ma qui non dissertiamo di arancina verso arancino, no, qui cerchiamo di raccontare la morbidezza di un dolcino che comunemente viene chiamato pan d’arancio e che, in realtà, si dovrebbe chiamare pan d’arancia.
Sul nome non ce ne usciamo vivi, si rischia un colpo di lupara in una inutile quanto mai stupida e banale diatriba campanilistica dunque, ti cuntu la ricetta originale di un maestro pasticcere palermitano, Giovanni Cappello, che ha donato questa ricetta all’amica mia Stefania che a sua volta ha donato a tutti noi.
pigghia un pizzino e segnati ‘sta ricettuzza

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Lo stampo per questo dolcetto è di tipo rettangolare, attipo plumcake ma con un lato lungo cilindrico, (avevo già pubblicato una ricetta, questa qui, qualche anno fa). Manco a dirlo puoi usare tutti gli stampi che vuoi, ci mancassi, nessun formalismo sul nome, figurati se ci ponnu essere  questioni sullo stampo da usare, tuttavia dovrai usare delle dimensioni consone alla quantità di impasto che dovrai infornare con queste dosi:
per uno stampo rotondo da 24 cm di diametro o per uno stampo da plumcake di 25x7x
150 g di albumi (un po’ meno di sei uova)
125 g di zucchero (ho usato lo zucchero di canna)
125 g di burro a temperatura ambiente
150 g di farina di mandorle ( ho usato mandorle intere con la cuticola e poi tritate non molto finemente ma non troppo, mi piace sentire qualche pizzuddicchio di mandorla sotto i denti, gusti sono, va)
100 g d tuorli (sei uova)
37 g di zucchero ( ho usato zucchero di canna)
25 g di pasta d’arancia frullando circa una trentina di grammi di arance candite, considerando lo sfrido
25 g di succo d’arancia
la scorza d grattugiata di un’arancia
175 g di farina ( io ho usato una farina di tipo 0)
una bustina di lievito
prepara tutti gli ingredienti, imburra lo stampo prescelto, spolveralo con la farina, eliminando quella in eccesso e metti da parte.
Monta a neve ferma gli albumi e poi, sempre lavorando aggiungi poco per volta 125 zucchero per realizzare una meringa liscia e lucida. Monta il burro con la farina di mandorle in tre volte, aggiungi i tuorli, anchessi in tre volte aspettando che la parte precedente sia stata inglobata dall’impasto prima di inserire la parte successiva; aggiungi i 37 g di zucchero, il succo d’arancia, la pasta d’arancia e la scorza grattugiata. Dopo avere amalgamato tutto, aggiungi parte della meringa intervallata alla farina setacciata con il lievito. Continua con questo procedimento fino a finire gli ingredienti. Otterrai un composto spumoso.
Versa nella teglia, livella e batti sul piano di lavoro per assestare l’impasto ed eliminare le bolle d’aria. Infornain forno caldo a 160°C per circa 40-50 minuti o fino a quando, inserendo uno stecchino all’interno dell’impasto, questo ne uscirà asciutto e pulito.
La guarnizione prevede una colata di glassa ducissima che io ometto per  non dare troppo lavoro al mio dentista, preferisco lasciare depositare una nuvola di zucchero a velo. Tu fai ‘nzocco vuoi!

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ciavuru di mare agrumato

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Stu periodo mallitto si sta facennu nuocere, dopo avere cercato lievito e farine che sembravano essere stati fagocitati dagli italiani in delirio mi sono industriata a fare lo stramaledettissimo levito madre che mi fici nesciri ‘u sensu  e che muriu dopo che sembrava fosse attivo. Poi, magicamente è riapparso nel banco frigo il mio amatissimo lievito di birra ma mi stuffò impastare…
In questi casi devo cambiare scenario ed è allora che affacciò lui, ‘u purpiceddu.

Couscous di tumminia integrale, polpo, agrumi al ciavuru di menta.

per due cristiani:
100 g di cous cous di tumminia integrale, precotto
la scorza grattugiata e il succo di (una grossa) mezza arancia
la scorza grattugiata e il succo di mezzo limone
20 g di mandorle tritate
un cucchiaio di olio extra vergine d’oliva
pepe macinato al momento
un ciuffo di menta
sale
un polpo di circa 500 g
pulisci il polpo, elimina occhi e bocca, pulisci anche la testa al suo interno e sciacqua abbondantemente sotto l’acqua corrente. Porta a bollore un tegame pieno d’acqua, cala il polpo per tre volte nell’acqua bollente e poi fallo cuocere per mezz’ora. Trascorso il tempo necessario, spegni il fuoco e fai raffreddare il polpo nella sua acqua di cottura, ci vorranno alcune ore ma niente ci fa. Tira fuori il polpo dall’acqua, affetta i tentacoli del polpo, lasciandoli interi e affetta il corpo e la testa. Arroventa una piastra in ghisa e arrostisci il polpo, pochi minuti per ogni lato e poi taglialo a tocchetti.
Metti il cous cous dentro un piatto capiente, versa 200 g di acqua bollente, copri e fai riposare cinque minuti, poi sgranalo con una forchetta separando i grani. Copri ancora una volta e fallo riposare ancora cinque minuti. In una ciotola raccogli la scorza degli agrumi e il loro succo, aggiungi l’olio e sbatti con una forchetta per amalgamare. Versa sul cous cous, aggiungi i polpo, aggiusta di sale, regala una generosa macinata di pepe e mescola per insaporire. trita la menta e aggiungila al piatto insieme alle mandorle tritate. Servi tiepido.

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i cardi che non ho mai cucinato

Ho sempre mangiato i cardi cucinati da mia cognata Patrì, siciliana fino al midollo; me li ha preparati fritti e sono sempre  stati buonissimi! non li ho mai cucinati, mai puliti, mai avuto nulla a che fare. Non c’è motivo, me li  prepara sempre lei, coccolandomi.
“‘Su’ cummattusi” Mi disse, vero è! Sono lavorati; bisogna lessarli, eliminare i filamenti, panarli, friggerli… Molto lavoro per un piatto che è una poesia. Mi faccio coccolare.

Poi, qualche sera fa, la sera di capodanno per l’esattezza, Sabine, che siciliana non è (giustappunto a casa di Patrì), ci ha regalato una ricetta molto vicina al nostro modo di cucinare; sarà che è maritata con un palermitano, sarà che ha una capacità innata di immedesimarsi, sarà che non la conoscevo e mi parse il modo di recuperare una ricetta che merita una menzione, sarà quel che sarà, mi si scatenò la voglia di prepararli e la ricetta te la trascrivo, sperando di non dimenticare nulla! Ma che fu? … entrammo tutti in visibilio, compresa mia cognata.
Ho capito, dopo la serata, che è meglio appuntare, scrivere, annotare tutto, anche quando “tutto” è dato per scontato e scontato non è! Patrì, dammi la ricetta dei cardi fritti.

1 kg di cardi puliti
250 g di pangrattato
12 g di zucchero
2 filetti di acciuga
olio extravergine d’oliva
130 g di semola di rimacinato
6 uova
sale
50 g di parmigiano grattugiato
porta a bollore abbondante acqua  e nel frattempo lava i cardi, costa a costa. Cuoci i cardi per circa 20-30 minuti, scolali ed elimina i filamenti, come per il sedano, asciugali tamponandoli con carta da cucina assorbente.

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Prepara la muddica atturrata: in una padella antiaderente versa due cucchiai d’olio, su fuoco leggero, sciogli le acciughe sminuzzandole con un cucchiaio di legno, versa il pangrattato, aggiungi lo zucchero e mescola spesso, fino a quando il pane assume una colorazione ambrata.

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Prepara tre contenitori, uno con la semola, uno con le uova leggermente sbattute con un pizzico di sale e uno con la la muddica atturrata. Passa un cardo per volta dentro la farina, poi nelle uova e infine nella “mollica”.

cardi_00011Poni i cardi cunzati dentro una teglia foderata con carta forno, spolvera con un pizzco di sale e  il parmigiano grattugiato, inforna in forno caldo a 190°C per circa 20 minuti. Mangiali caldi  e poi mi cunti!

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digressioni

 

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Digressioni, dicevo… ma picchì, diresti tu; cammini su un terreno consolidato, un percorso conosciuto, giustamente ti potresti chiedere: all’urtimata picchì?
MAH! Che ti devo dire a me piace assai divagare, prendere altre strade, incrociare quella maestra, salire, scendere e tornare, anche. Penso che se resti ancorato alla boa ti puoi allontanare ma non ti puoi perdere. A me piace nuotare al largo ma mi piace, dopo tante bracciate, girarmi e vedere la costa. Mi rassicura. So che posso andare ma anche tornare.
Come giudichi un comportamento simile? Un vorrei ma non posso?
Sappimi dire, intanto ti cuntu chi cumminai cu ‘ste triglie. Ho divagato, spero ti piaccia.
Mentre ti scrivo, ricevo degli apprezzamenti sulla foto appena pubblicata sulla pagina di scorzadarancia su Facebook. Delle amiche che apprezzano il sapore di questo pesce. Maria Pia e Benedetta, ancora non sanno cosa ho combinato, spero tanto si fidano di me al 100%
Teglia di triglie e fichi d’India

per due persone:
sei triglie medie
2 zucchine
4 fichi d’india
4 cipollotti di Tropea
qualche foglia di alloro
sale
pepe
noce moscata
olio extra vergine d’oliva

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In effetti che ti devo cuntari? Questa non è una ricetta vera e propria, di quelle che devi misurare gli ingredienti.
Sporca la teglia con l’olio, affetta i cipollotti molto sottilmente, e distribuiscili sul fondo della teglia, affetta le zucchine, sottili anch’esse, e realizza un bel suolo sopra le cipolle. spolvera un po’ di sale, pepe macinato al momento e una grattatina di noce moscata. Sbuccia i fichi d’India e tagliali a rondelle, distribuiscili a sentimento sulle zucchine. Pulisci le triglie e squamale, adagiale sulla stratificazione di frutta e verdura, spolvera ancora di poco sale, pepe macinato al momento e una grattatina di noce moscata, finisci con le foglie di alloro e un giro d’olio. Chiudi il coperchio, inforna a 200°C per una ventina di minuti, non esagerare con la cottura picchì le triglie pesce delicato è.
Non so se hai mai visto “L’aria del continente” di Martoglio. Non facciamo che ti senti tutta come Milla Milord e sputi i “noccioli” di fico d’India?

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millefoglie di sarde e zucca

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una sera di qualche anno fa ho riso fino alle lacrime, durante uno spettacolo di Ernesto Maria Ponte, all’Agricantus a Palermo. Tutto lo spettacolo mi fece ridere talmente tanto che, appena finito lo spettacolo ho conservato, nei pochi cassetti della mia memoria, alcune battute da tirare fuori nei momenti di bisogno. Una di quelle battute raccontava della dieta di Ernesto, del suo dietologo e del fine che la dieta, faticosamente seguita, portava: fare una vita da malato per morire sano.
Ecco, la dieta la devi interpretare altrimenti l’epilogo è uguale a quello di Ernesto.

Per quattro cristiani
450 g di zucca decorticata
200 g di ceci lessati
una cipolla di Tropea
foglioline di menta
un rametto di rosmarino
una grattata generosa di noce moscata
una macinata di pimento
500 g di sarde eviscerate e aperte a libro
20 g pan grattato
una spolverata di zucchero di canna
15 g di passolina (uva passa)
aceto di mele o vino bianco
olio extra vergine d’oliva
sale

affetta la cipolla a rondelle, ponila in un tegame con un cucchiaio d’olio e mezzo bicchiere d’acqua, stufala fino a quando sarà appassita e l’acqua evaporata. Aggiungi la zucca taglia a fettine, i ceci, le erbette, 150 ml di acqua, le spezie, la passolina e il sale. Cuoci con il coperchio per circa 20 minuti o fino a quando la zucca sarà morbida. Spegni e fai riposare.

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Su una placca, foderata con carta forno, disponi le sarde con la pelle rivolta verso il basso e spennellate di olio, cospargi con il pan grattato, un’idea di zucchero e qualche goccia di aceto, sala e inforna a 170°C per circa 10-15 minuti.
Impiatta alternando sarde e condimento alla zucca. Servi subito.

l’annosa questione, masculu o fimmina

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Oggi Santa Lucia è; in tutto il mondo si festeggia ‘sta Santuzza in moltissimi modi.
In Sicilia non si mangia pasta e nemmeno pane, alcuni  panifici addirittura non aprono nemmeno; in teoria dovrebbe essere una giornata di digiuno e invece si concentrano tante di quelle leccornie memorabili. Sicuramente vige un imperativo; FRIGGERE!

Ora ti cuntu du’ cosi: io sicula sono!
E questa è una, l’autra cosa che t’ha diri è chista, assettati.
Appena diciottenne menn’eppi agghiri fora a studiare, lassai Messina, mia città natale e fici cinc’anni a Firenze; penso che ‘sta cosa mi aprì ‘u ciriveddu. Mi sono convinta che i campanilismi siano una cosa detestabile, sono un’assertrice del bello e del buono in ogni latitudine; sono una persona mite e dove vado mi adeguo, non scasso i cabasisi a nuddu se nessuno li scassa a me.
Fatta ‘sta premessa ti dico che i venticinque anni di vita vissuta fino a ora li passai ‘n Paliemmu dove campo ancora, a Dio piacendo. Ora l’annosa questione che mi vede nel menzo è la solita: in quasi tutta la Sicilia quelle palle di riso condite sunnu masculi e a Palermo, invece, sunnu fimmine. In effetti quello che cunta l’accademia della crusca mi convince ‘n’anticchia e cioè che la palla tonda un’arancia pare e quindi, a rigor di logica, è una piccola arancia, dunque arancina. E ci sta. Ma quelli a punta? Ammia mi parunu masculi!
Comunque, io su ‘sta cosa ci babbìo assai e vorrei che ci babbiassero tutti, appellando queste succulente bombe fritte come chiù ci piaci.
Mancia e zittuti, in primisi picchì non si mangia con la bocca china e in secundisi picchì, se t’assetti allato ammia, ti dugnu in mano un calice di vino e t’arricrii. Pensavo a un vino mosso, un frizzante bello allegro rosato per le arancine accarne e bianco per quelle abburro, secunnu mia si maritano perfettamente.
Anzi, picchì non ci facciamo una bella gita alla cantina Porta del Vento sulle colline del territorio di Camporeale? E’ in provincia di Palermo, un luogo memorabile; che fa, organizziamo? Ah, si il vino, Voria si chiama.

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Arancini di riso accarne e abburro
Difficoltà: difficile
Preparazione: 1 ora
Cottura e riposo: 2 ore circa
Ingredienti per 4 arancini grandi o 6 chiù nicareddi

Per il riso:

500 g di riso per risotti, ho usato il carnaroli
2 foglie d’alloro
50 g di parmigiano grattugiato
50 g di ricotta infornata
25 g di burro
80 ml di salsa di pomodoro pronta
Un uovo
pepe
sale

Prepara il riso portando a bollore abbondante acqua salata con l’alloro, cuoci il riso e portalo a metà cottura, scolalo e condiscilo con i formaggi, il burro, l’uovo sbattuto e il pepe. Dividi il composto in due parti e condisci una parte con la salsa. Fai raffreddare completamente, per almeno due ore. Nel frattempo prepara il ragù

 Ingredienti per il ragù:

150 g di tritato misto, vitello e maiale
mezza cipolla rossa
mezza carota
mezza costa di sedano
250 ml di salsa di pomodoro
2 foglie d’alloro
50 ml di vino bianco secco
mezzo cucchiaio di estratto di pomodoro
50 g di piselli sgranati
20 g di olio extra vergine d’oliva
un pizzico di zucchero
un pizzico di bicarbonato di sodio
noce moscata
sale
pepe

Trita finemente la cipolla con il sedano e la carota; poni il battuto dentro una casseruola e soffriggi con l’olio, metti la carne e fai insaporire; sfuma con il vino e aggiungi il concentrato di pomodoro. Amalgama mescolando. Unisci i piselli, la salsa e le foglie d’alloro, una grattugiata di noce moscata, il sale, il pepe, lo zucchero e il bicarbonato di sodio. Copri con un coperchio lasciando un cucchiaio di legno tra il coperchio e il tegame, abbassa la fiamma al minimo e fai pippìare per circa un’ora.

 Per il ripieno e la finitura:

100 g di provola dolce tagliata a dadini ( ti servirà anche per farcire quelli al burro)
200 g di farina di rimacinato
400 g d acqua
pan grattato
Olio extra vergine d’oliva oppure olio di semi

Realizzazione degli arancini:

Intanto t’ha diri ‘na cosa: bagnati le mani per la preparazione di ogni arancino e prepara la finitura; una ciotola con la pastella preparata amalgamando la farina con l’acqua, aggiusta di sale, n’anticchiedda e una con il pangrattato, poi prendi  una cucchiaiata di riso condito con la salsa, mettilo in una mano messa a conca, plasmalo allargandolo, riempiti con un cucchiaio di ragù e un paio di dadini di provola. Copri tutto con altro riso e forma l’arancino realizzando una palla. A ‘sto punto diventa arancina! Un’arancia piccola. Passa le arancine dentro la pastella e poi nel pangrattato e ponile su un piatto.

Arancini al burro

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25 g di burro a dadini
25 g di prosciutto cotto tagliato a dadini

Recupera il composto di riso e formaggi rimasto e realizza gli arancini abburro con la stessa modalità usata per quelli accarne  realizzando una forma allungata per distinguerli e farcendoli con pezzetti di formaggio, qualche dadino di burro e qualche quadratino di prosciutto cotto; passali dentro la pastella, nel pan grattato e infine friggi in una casseruola dai bordi alti e piena d’olio bollente per pochi minuti, fino a doratura girando delicatamente con due forchette o una schiumarola.

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cimette di cavol_fiore gratinate

cavolfiore gratinato_00000

quando comincia la stagione du cavuluciuri ccà nnì scialamu. In bianco, a minestra, con una macinata di pepe e un filo d’olio nuovo, lo apprezzi in tutto il suo sapore. Arriminato, con passolina, pinoli, un filetto di acciughina, zafferano e una spolverata di muddica atturrata, ti fa toccare il cielo con un iritu. In pastella, fritto… manco tu cuntu.
Va beh, oggi ti propongo un modo buono di portarlo in tavola come contorno, già porzionato in piccole cocotte, insaporito da una salsa a base di panna, ingioiellata dalla ducizza dell’uva passa e l’aroma dei pinoli tostati.

Pigghia un pizzino e poi mi cunti

un cavolfiore medio
40 g di parmigiano grattugiato
20 g di farina di tipo 2
20 g di burro più quello per gli stampi
3 dl di panna
passolina (uva passa) e pinoli
sale
pepe

monda il cavolfiore, taglialo in cimette (che possano alloggiarsi nei ramequin) e lessale in acqua bollente salata. Cuoci una decina di minuto, non troppo perché s’annunca s’arrimodda troppo. Deve mantenere una certa consistenza. Scola le cimette e metti da parte.
Fondi il burro in una casseruola, aggiungi la farina in un solo colpo e comincia a tostarla sul fuoco, mescolando sempre. Aggiungi la panna, poco alla volta e mescola sciogliendo il composto di burro. Porta a bollore, mescolando; fai sobollire alcuni minuti, spegni e aggiungi il parmigiano. Aggiusta di sale e macina un po’ di pepe.
Imburra gli stampini, adagia un fiore di cavolo, disponi la salsa preparata, cospargi con qualche coccitello di passolina e qualche pinolo. Inforna in forno caldo impostato su 220°C per circa 15 minuti o fino a quando la superficie sarà dorata. Sforna e lascia intiepidire un po’ prima di servire.

 

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