i colori del cioccolato

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di cioccolato mi vestirei, in tutte le tonalità del suo “choctone“; una camicia con la manica a trequarti cioccolato bianco, una gonna retta, che lasci leggermente scoperto il ginocchio, cioccolato al latte e un paio di décolleté Mary Jane tacco a spillo e cinturino alla caviglia cioccolato fondente extra dark, senza calze perché il cioccolato sa essere caldo d’inverno e freddo d’estate.
Di sicuro, dovrei girare con un borsone con almeno un cambio, come i nutrichi, picchì durante la giornata, mi mancirìa i vestiti, scarpe comprese.
Il cioccolato è sensuale, ma anche nostalgico; un muzzicuni a una tavoletta o una cucchiaiata di calda e “scioglievolissima” crema riuscirebbe a trascinarti indietro nel tempo ma anche molto avanti emozionando e ingolosendo.
Ho letto che il cioccolato può essere  considerato una droga, che detto così pare una cosa terribile, ma in realtà è una cosa meravigliosa.
Ecco, una ricetta in cui il cioccolato ha diverse sfaccettature è quella che segue. Se provi ad assaggiare una torta Caprese resti affascinato, t’innamori perdutamente e, nei cassetti della memoria, ti resta indelebile il sapore come del primo bacio. Fuori un guscio che resiste alla forchetta e dentro un cuore morbido. Prova!

Questa è una ricetta di torta Caprese, ovviamente non me ne vogliano i campani se non ho ricercato la vera ricetta ma quella che per me sembrava la più buona e che poi alla fin fine ho pure leggermente modificato, comunque la sostanza non cambia.
Di facilissima esecuzione, realizzala e poi mi cunti.

– 170 g di burro e un po ‘di più per ungere lo stampo.
– 200 g di cioccolato fondente di ottima qualità.
– 4 uova medie.
– 160 g di zucchero di canna
– 200 g di mandorle pelate, tritate finemente.
-zucchero a velo per la finitura

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riscalda il forno e portalo a 180 gradi, imburra e infarina una teglia di 22 cm di diametro.
Trita il cioccolato a coltello, mettilo dentro  un contenitore resistente al calore e poi dentro un bagnomaria  insieme con il burro tagliato a pezzetti; lascia raffreddare.
Sbatti le uova con lo zucchero fino a quando il composto diventerà bianco e avrà raddoppiato il suo volume iniziale, dai dieci ai 15 minuti.
Aggiungi le mandorle tritate al miscuglio di burro e cioccolato e con delicatezza ingloba le uova sbattute, poco alla volta e con movimenti circolari dal basso verso l’alto. Riempi la teglia e inforna per circa 30 minuti. Come al solito verifica la cottura con uno spiedino, quando lo tiri fuori dal centro della torta NON deve essere asciutto e pulito ma deve avere la giusta umidità. Sforna il dolce e fallo raffreddare nella teglia, poi sformalo su una gratella per dolci e fallo raffreddare completamente. Trasferiscilo su un piatto da portata, così capovolto, e cospargi lo zucchero a velo.

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espliciti sapori

Cosa vuol dire, per te, avere il senso della cucina? Mangiare per innamorarsi, dico io.

Innamorarsi di un ingrediente mangiato con le mani, crudo magari, prima di passare attraverso le diverse manipolazioni: nettare, affettare, cuocere e infine portare in tavola, il luogo dove si gioca la “partita”. Il luogo nel quale le cose assumono un ruolo netto, gerarchico, strutturale, architettonico, teatrale direi. Non è un bisogno alimentare, non lo è più. E’ un’educazione sentimentale, un gioco delle parti, uno scambio geografico, scenografico e culturale.

Io, in questo contesto, interpreto un personaggio, me stessa. Decido quando allacciarmi il grembiule sui fianchi e cosa preparare per farti percepire il ciavuru e ‘u sapuri, anche a 1300 km di distanza. Alcune volte riesco, accostando sensazioni che reputo bellissime a diffondere la mia stessa percezione procurandoti il desiderio di riprodurre la ricetta. Quello è un grande successo che culmina nel momento stesso in cui, al primo assaggio, pensi solo cose belle. In ultimo, in questa rappresentazione, sono soggetta al tuo giudizio e alle tue critiche, è inevitabile; fa parte del gioco.

Qui trovi testi culinari che raccontano, attraverso parole e immagini, una selezione di “cose, che cose non sono” e della loro infinita combinazione. Provo a superare il confine del piatto, andando oltre, cuntandoti di come ho individuato questa o quella ricetta e dove ho reperito gli ingredienti. Ti porto, mano manuzza, nei mercati di Palermo, tra le viuzze inturciniate della città araba attraversando quella barocca anche con il naso all’insù, picchì nutro l’esigenza di condurti in questo bellissimo luogo che mi ospita, seguendo un’organizzazione mentale, affondando, a piè pari, nel mio percorso di crescita personale.

Tutto questo panegirico per dire una cosa, al di là dei discorsi che ho sentito e letto in questi giorni sugli influencer, credo che se fai un lavoro che viene valutato come un buon lavoro, questo debba essere rispettato, seguendo determinati livelli di pertinenza. Attenendosi a ciò che è significativo tralasciando ciò che non lo è, individuando un ruolo in questo complesso sistema, dinamico e turbolento legato al mondo del cibo, magari davanti a un piatto di spaghetti cozze e vongole e un calice di vino bianco, bello freddo, che scende nel cannarozzo, cantando.

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Mi sono chiesta in questi (quasi) 10 anni di blog, quanto io abbia contribuito, nel mio piccolo, all’esplosione di questo fenomeno dilagante legato al cibo e quanto io sia stata chiara e esaustiva nel cuntariti  ‘na ricetta. Mi piacerebbe conoscere la tua opinione al riguardo; se hai tempo e voglia.
Hai un’idea dell’empatia che si genera, come una magarìa, quando penso a ciò che desidero proporti? Mizzica, dovresti vedermi al mercato, mentre scelgo gli ingredienti da intrecciare insieme in cucina per concretizzare il mio desiderio; mi dispiace infinitamente però, non poterti regalare il profumo quindi provo a restituirti, con la foto, il bisogno effimero di preparare ‘na cosuzza.
Vogghiu annari oltre, oltre l’evidenza, oltre il piatto, oltre un’esigenza, lasciandoti l’identità di un racconto e di un’immagine. Il mio busillisi è sapere quanto io riesca nell’intento.

Intanto, mentre ci rifletti, rispunnimi a ‘st’autra dumanna: che cos’è un dolcino?
Facile eh?

Una cosa buona a cui pensare, un inizio per “una buona bella giornata”, un buon motivo per pigghiare un pizzino e segnarti ‘sta ricetta.

Plumcake all’arancia
330 g di farina
8 g di lievito
un pizzico di sale
175 g di burro morbido
3 uova
200 g di zucchero di canna
la scorza di una grossa arancia grattugiata
150 ml di succo d’arancia

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per la glasssa:
100 g di zucchero a velo
20 ml di succo d’arancia
una manciata di pistacchi tritati
riscalda il forno a 180°C, imburra uno stampo da plumcake e infarinalo, eliminando la farina in eccesso. In una ciotola mescola la farina, il sale e il lievito. Sbatti il burro con lo zucchero per un paio di minuti, aggiungi le uova, uno alla volta aspettando che il precedente venga inglobato dall’impasto prima di aggiungere il successivo. Aggiungi il mix di farina, la scorza d’arancia e il succo per fluidificare l’impasto. Versa nello stampo e inforna per circa 70 minuti poi copri la torta con un foglio di alluminio e cuoci altri 10 minuti. Fai sempre la prova stecchino prima di sfornare. Fai raffreddare dentro lo stampo per 10 minuti e poi capovolgi il dolce su una griglia per raffreddarlo completamente.
Prepara la glassa mescolando allo zucchero a velo il succo. Fai riposare qualche minuto e poi versalo sul plumcake, decora con la granella di pistacchio.

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tra me e me

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dice che è carnevale e ogni sgherzo vale. Giusto!
Da tanto non preparo una ricetta carnevalesca, picchì, till’ha diri, mi siddìa di moriri annare appresso appresso alle fasi obbligate dal momento quindi spesso mi defilo, glisso bellamente ma… c’è un ma. Il mio amico Joe Prestia mi chiese espressamente una ricetta quest’anno! Lui vive a Sciacca, il comune siciliano in cui si svolge lo storico carnevale; conduttore della trasmissione radiofonica “L’Italia del mattino” su radio studio 5, mi ospita ogni sabato per la rubrica di cucina. Ora, dico io, una ricettuzza calda calda di fritto non la dovevo fare apposta ppè lui? ‘Ncà!
Questa ricetta è desunta dal numero di febbraio di ‘st’annu della mia rivista preferita, la magica Sale & Pepe, modificata ‘n’anticchiedda. 


Chiacchiere ai fiori doppi arancia e cannella.

per la pasta:
250 g di farina di tipo 1
2 uova
1 cucchiaio di succo d’arancia
30 g di zucchero a velo
mezzo cucchiaino da caffè di cannella in polvere

per la crema:
100 g di mascarpone
un uovo
la scorza grattugiata di mezz’arancia
30 g di zucchero a velo

olio di semi per friggere
zucchero a velo per guarnire

comincia preparando l’impasto mescolando la farina con lo zucchero e la cannella. A parte sbatti le uova con il succo d’arancia e poi aggiungili alla farina. Amalgama con una forchetta e poi impasta sulla spianatoia. Realizza una palla liscia e mettila a riposare per mezz’ora circa, coperta da un panno pulito.

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preleva una parte di impasto e passalo nella macchina per stendere la pasta a partire dal primo spessore fino al penultimo. Se l’impasto dovesse risultare troppo umido spolvera con della farina di appoggio. Dalle strisce ricava dei fiori, con due coppapasta a forma di fiore di diverso diametro. Sovrapponi il ciuriddu piccolo su quello grande con una leggera pressione.

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Friggi in abbondante olio caldo ponendo il fiore capovolto dentro l’olio bollente, giralo per cuocerlo anche dall’altro lato. Fai assorbire l’olio in eccesso su un foglio di carta per fritti.
Poi prepara la crema montando l’albume, mettilo da parte. A parte monta il tuorlo con lo zucchero e la scorza d’arancia. Incorpora anche il mascarpone e infine l’albume, delicatamente dal basso verso l’alto. Metti in frigo fino al momento di servire.
Porta in tavola spolverando con lo zucchero a velo e la crema a parte da aggiungere al centro del fiore.

 

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n’addivittemmu!

guarda il video -Metti una cena in vetrina con “Palermo al contrario”spazio c_1

L’ho detto? Si, l’ho detto in tutte le salse; in Sicilia non siamo abituati al freddo, pochi giorni ci fanno andare fuori di testa.

-Ma siamo a febbraio, inverno quindi freddo!
-E va beh, lo capisco, ma non siamo abituati, che ti devo dire?

Non siamo abituati neanche a più di un giorno di pioggia, male che vada ci accolliamo quella pioggerellina attipo assuppaviddano, perfetta per le colture. Giriamo per le strade senza paracqua, tanto non serve, siamo convinti che affaccerà il sole da un momento all’altro. Io ho sempre gli occhiali da sole inforcati; quando si dice l’ottimismo…
Ma tutta ‘sta pioggia che è caduta sull’Isola, no, ci ha destabilizzato, ci convinciamo di non potercela fare; non siamo neppure attrezzati. Le fognature tutta ‘st’acqua non l’hanno vista mai, anche picchì s’attuppano per le tonnellate di aghi di pino e foglie di varia natura che poi galleggiano sull’acqua trasformando le strade in fiumi equatoriali. Ci vogliono quattro ruote attipo SUV (vedi che servono?), a piedi sono obbligatori gli stivali alti dei pescatori.
Diciamolo, viviamo in città in cui non è previsto ‘u malu tempu, solo sole, animi rilassati e schiticchi a tinchitè.
Allora niente facciamo? N’organizzamu!

spazio cooking
Ecco, manco a farlo apposta, a Palermo ha aperto uno spazio favoloso, Spazio Cooking si chiama, dove si coniuga la sensazione di casa con la comodità che poi qualcuno metterà a posto al posto tuo. Chistu ficimu l’autra sira. Eravamo dieci; gli amici blogger di Palermo al Contrario, il mio sposo e io, abbiamo prenotato uno dei tre spazi disponibili completo di cucina, attrezzatura varia, una sala con un tavolo e mise en place. Ficimu ‘a spisa, ma potresti fartela fare da loro se non hai tempo. N’arricampammu all’ora convenuta, e nnì misimu all’opera.

tavola

Amunì, mentre inforno il pane chi arrotola i cornetti di pasta sfoglia con pere e parmigiano?

Mizzica in dieci cristiani ci sunnu 20 brazza ‘i mari che si adoperano per realizzare anche le sicarette di pasta phyllo abbrazzate a fettine di prosciutto crudo; uno spettacolo! Mentre io cuocevo i vermicelli al vino rosso un ciavuru paradisiaco ci affatava e nel frattempo con un calice di Syrah in mano qualcuno immortalava questi momenti di condivisione allo stato puro.

calici

spaghetti al vino

-…Ma, e di secondo?
-Uddiu, chi stende la pasta brisée per la quiche lorraine?

quiche lorraine
Il forno ha lavorato tantissimo, l’abbiamo stressato fino all’ultimo cuocendo anche una crostata di mele e marmellata di arance. poi, felici, n’assittammu e ficimu ‘u schiticchiu!

crostata fetta
La cosa bella di ‘sto posto? Poi ti alzi e te ne vai.

noi spazio cooking

 

gallinelle ne abbiamo?

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Continuo col filone delle citazioni e ti lego a questo sito . Lui, il maestro  Sergio Maria Teutonico, è come dire? Vero!
Non rimane su uno schermo della tv o sulle onde radio delle frequenze di radio Capital o, ancora, sulle pagine di una rivista. No, iddu esiste veramente, per nulla legato alle luci della ribalta; sul suo forum di cucina e sui canali social regala consigli,  sorrisi, abbracci e suggerimenti di ogni sorta, augurando buonissime giornate con caffè virtuali per tutti i suoi simpatizzanti. Ma il vero simpaticunazzu iddu è! Nella sua ricca biografia lui dice di sorridere quando lo chiamano maestro perché sostiene che, “I titoli, i premi e le chiacchiere sono spesso spazzati via dal  vento, io resto qui nel concreto: ancorato alla mia cultura e sorretto dalla mia infinita voglia di fare!”
Bravo, sempre disponibile e attento.

Ora attent’ammia, iddu, il maestro, accompagna ‘sta gallinella con delle verdure miste, io ci misi dei carciofi stufati e leggermente panati.

per 4 cristiani:
4 filetti di gallinella
200g di panettone
erba cipollina
8 carciofi
un mazzetto di finocchietto di montagna
un mazzetto di prezzemolo
un cucchiaio di pangrattato
200 g di succo d’arancia
20g di maizena
20g di burro
olio extravergine d’oliva
sale e pepe

Intanto dimmi: hai un pescivendolo che ti sfiletti  le gallinelle? Beh io no. Per sfilettare 6 pesci ci ho messo una vita quindi meglio farselo fare.
Prepara i carciofi eliminando le foglie dure esterne, taglia le punte e un pezzo del gambo lasciane 4-5 cm che pulirai della parte dura. Immergili dentro una ciotola piena d’acqua acidulata con il succo di un limone.
Trita a coltello le erbe aromatiche, mettile in una ciotola con il pangrattato, un po’ di sale e un filo d’olio, mescola. Sgocciola i carciofi, tamponali con un foglio di carta assorbente. Allarga leggermente il fiore, battendo con delicatezza sul piano di lavoro, farcisci con la panatura e metti a testa in giù dentro un tegame che li contenga a misura, aggiungi acqua fino a raggiungere la metà del carciofo, versa un giro d’olio, sala leggermente, chiudi con il coperchio e cuoci, dopo il bollore, circa 20 minuti. Verso la fine della cottura togli il coperchio e fai evaporare l’acqua in eccesso.
Spezza il panettone, mettilo dentro il bicchiere del mixer, pochi pezzi per volta insieme a qualche stelo di erba cipollina e frulla tutto. l’operazione va fatta poco a poco, in caso contrario rischi di ottenere una mappazza  umida ingestibile, invece deve essere una farcia soffice soffice.
Ungi leggermente i filetti di pesce dal lato della carne e impanali con il trito di panettone.
Adagiali su una placca foderata con un foglio di carta forno, cospargili con un filo d’olio e inforna a 200° per 6-8 minuti circa.

Sciogli il burro in una padella aggiungi l’amido di mais setacciato e amalgama; unisci il succo d’arancia caldo e filtrato un pizzico di sale e mescolando porta la salsa alla densità che preferisci.
Adagia su ogni piatto un filetto di gallinella, due carciofi e la salsa all’arancia.

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riso, zucca e mandorle. Sembra il titolo di una canzone

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Il titolo di una canzone d’amore. E ” non c’è amore più sincero di quello per il cibo”

dimmi ‘na cosa: cosa c’è di più stagionale di un risotto con la zucca? GNIENTE!
Questa è una ricetta semplice almeno in apparenza…
M’ha fari ‘na cottesia, analizza la parola “semplice”.

Una cosa è semplice da realizzare se hai dimestichezza, se conosci qualche trucco che ti viene in automatico senza bisogno di rammentarlo. Se la cosa non desta ansia, apprensione o inquietudine. Se qualcuno, un’anima pia in genere, ti da le dritte giuste.

Ecco, semplice come potrebbe essere questo risotto letto su Sale & Pepe, se non fosse che in Sicilia non siamo abituati a fare il risotto, almeno come lo fanno al nord. Non abbiamo la cultura, anche se le risaie le avevamo anche qua. Ma questa è un’altra storia, non voglio divagare, sannunca mi perdo.
Ah! Ovviamente, manco a dirlo, non troverai questo risotto identico, “una stampa e una figura” a quello di Sale & Pepe ma questo lo sapevi già, evè?
Del risotto però ti devo cuntari ‘na cosa che mi disse un’anima pia di lassopra che di risotti se ne intende.

-Se vuoi fare un risotto classico come l’ho fatto io devi usare un Carnaroli, se invece vuoi fare un risotto molto all’onda devi usare il vialone nano…

e questa è una! Che ne so io di un riso all’onda? Zero meno!

-il vino bianco devi farlo sempre sobbollire, per fare evaporare la parte alcolica che dà un sapore amarognolo, prima di usarlo

e questa è un’altra, tu lo sapevi che il vino si mette già caldo? UH! Io no.

-il riso va lavato…

forse è megghiu se ci levo mano.

Amuni trovati una seggia e assettati picchì la cosa lunga è.

per 4 cristiani:
280 g di riso carnaroli o vialone nano
300 g di polpa di zucca tagliata a dadini
50 g di mandorle tagliate a lamelle
30 g di parmigiano grattugiato
uno scalogno
olio extra vergine d’oliva o burro chiarificato
8 dl di brodo vegetale
1/2 bicchiere di vino bianco
un cucchiaino di aceto balsamico
pepe garofanato
50 g di stracchino
qualche fogliolina di timo
sale quanto basta

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fai rosolare lo scalogno tritato al coltello, dentro una casseruola con una girata d’olio o 20 g di burro e la zucca, per cinque minuti. Unisci l’aceto e fai assorbire. Bagna la zucca con un mestolo di brodo caldo, copri la casseruola e lascia stufare a fiamma bassa per circa 10 minuti, aggiusta di sale. Tosta le mandorle in un padellino antiaderente facendole saltare su fuoco vivace e mettile da parte.
Preleva una parte di stufato di zucca e frullalo dentro un bicchiere con un frullatore a immersione. riponilo dentro una ciotola insieme con il resto della zucca e tieni al caldo. Nella casseruola dove hai stufato la zucca metti un giro d’olio, soffriggi e poi versa il riso, fallo cantare, poi sfuma con il vino e lascia evaporare, unisci la zucca precotta, bagna con un mestolo di brodo caldo e porta a cottura aggiungendo un mestolo di brodo alla volta, man mano che si sarà asciugato; cuoci per circa 16 minuti o fino a quando lo reputi cotto.
Quassotto lo mangiamo più cotto di come lo mangiano lassopra, te lo dicevo io che non abbiamo la cultura…
A fine cottura, aggiungi lo stracchino, il parmigiano e una macinata di pepe garofanato, il timo e le mandorle, mantecando bene il tutto. Impiatta e dai qualche colpetto sotto il piatto e poi mi cunti.

che te lo dico a fare?


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dice…”ma la zuppa ai frutti di mare la mangi anche d’inverno? Non è un piatto estivo?”
“Eh, cosa che cosa?” dico
La Zuppa ai frutti di mare è un piatto tipico delle zone di mare, punto e basta.
Quindi, che te lo dico a fare? Io di fronte a un piatto così, semplice e gustoso mi emoziono, sempre


Zuppa di frutti di mare, cavoletti di Bruxelles e crostini di pane di segale Huber

Per 4 cristiani
600 g di sedano rapa
un kg di cozze pulite
800 g di vongole spurgate
350 g di cavoletti di Bruxelles
un mazzetto di prezzemolo
uno spicchio d’aglio
un pezzetto di peperoncino
100 ml di vino bianco secco

cuoci al vapore i cavoletti tagliati a metà con il sedano rapa pelato e tagliato a dadini. Sala e metti qualche foglia di prezzemolo nell’acqua che servirà per la cottura al vapore.
Taglia il pane a quadrucci e abbrustoliscilo su una piastra rovente pochi minuti per lato, colloca da parte.
Metti in un tegame l’aglio e un mazzetto di prezzemolo tritati, un pezzetto di peperoncino e un giro d’olio. Aggiungi i frutti di mare e chiudi con un coperchio, poni sul fuoco vivo per farli aprire. Raccogli i molluschi e metti il liquido di cottura filtrato dentro un pentolino con 100 ml di vino su fuoco vivace per fare evaporare e stringere il sugo. Mescola i molluschi dentro il tegame con le verdure cotte al vapore e la salsa preparata. Servi in delle fondine con i quadrucci di pane di segale abbrustoliti.

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Le esse di Monreale

biscotti di monreale

Appena arrivarono sull’isola, non ci parsi vero ai normanni, di chiddu che trovarono. Si ficiru i bagni, come si dice qua, e nnì regalarono tesori inestimabili che lasciano alluccuti. Per una mano anche noi abbiamo preso da loro e nni vantamu di fari impazzire tutti chiddi che, ancora oggi, passano da qua picchì ci mittemu il carrico da unnici, sempre. Attipo ciliegina sulla torta, va.
Non ci arrendiamo agli eventi, anche se questa è l’impressione che diamo. Sotto sotto troviamo il nostro tornaconto, per la sopravvivenza. E’ inevitabile.
Certezze non ne abbiamo da offrire se non quella della bellezza che ci circonda.  Di quella, credimi, ne abbiamo da vendere ma siamo fatalisti e dicemucca semu!”  Quello che viene ci pigliamo.
L’incantesimo che s’appresenta a Monreale, abbarbicata sul monte Caputo, non si ferma ( anche se basterebbe) al suo Duomo ricchissimo talmente tanto da sbalordire. ma s’insinua tra le viuzze medievali, affacciandosi su Palermo e la Conca d’Oro di una volta. Il panorama è mozzafiato, starei ore affacciata a taliare come cambia l’effetto dei raggi del sole su tutta quella bellezza. Quando cala la notte s’accendono le luci ed è tutto un luccichio che stiddia l’occhi.
Tra le mille cose che affatano a Monreale ci attrovi pure dei biscotticeddi particolari a forma di “S”, profumati, leggeri, deliziosi, sembrano biscotti di casa, genuini, acchiappano per il ciavuru, per la forma e per i pizzi di glassa bianca che li decorano. Si racconta che ‘sti biscotticeddi, che ai tempi erano durissimi perchè tricottati, li prepararono la prima volta le monache benedettine del monastero di San Castrenze. Io ci provai l’altro giorno a farli; amunì pigghiati un pizzinu segnati sta ricetta e li fai puru tu.

un kg di farina
un tuorlo
200 ml di latte
200 g di zucchero
200 g di strutto
un baccello di vaniglia
10 g di ammoniaca per dolci

per la glassa
un albume
100 g di zucchero a velo
qualche goccia di succo di limone
Metti dentro il robot da cucina (o impasti a mano), la farina, il tuorlo, i semi della vaniglia, l’ammoniaca, lo zucchero e lo strutto. Aggiungi a filo il latte. impasta fino a ottenere un composto liscio e omogeneo. Avvolgi l’impasto dentro la pellicola e poni in frigo a riposare per almeno un’ora, con questo caldo. Recupera l’impasto e stacca delle pezzature da circa 50 g, lavora ogni tocchetto facendo un salsicciotto di circa 12 cm, dagli una forma a “S” lascia le anse larghe perché in cottura potrebbero unirsi, perdendo la forma caratteristica. Poni i biscotti su una leccarda e inforna a 200°C per circa 15 minuti. Appena saranno cotti, sfornali e falli raffreddare completamente.
Prepara la glassa sbattendo l’albume con le gocce di limone e lo zucchero a velo, metti dentro un cono di carta e decora la superficie dei biscotti con i pizzi di ghiaccia. Niè, uno sdillinio.

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(Ai) love Habanero

 

patè habared

Lo dissi qualche altra volta, mi pare, che mi piace il sapore delle spezie, di tutte. Mi piacciono e lo prendo come un dato di fatto. Il peperoncino mi piace chiossà, ha un “non so ché” di magico, tutto sta nel non esagerare per evitare che la piccantezza copra i sapori di fondo… beh io ho esagerato.
Secondo Elio, mio amico fraterno, non ho esagerato per niente. Lui, che mi ha dato la ricetta, produce per sé, peperoncini dal nome indicibile e dalla piccantezza mostruosa, è inutile dire che il suo palato è a prova di bomba speziata. Quando gli dissi che avevo raccolto degli Habanero Red, e che desideravo da lui una ricetta, ha fatto spallucce (non l’ho visto ma dal tono della conversazione ho immaginato che lo facesse) e mi ha detto: …insomma, l’Habared non è nulla di che!
Cosa, che cosa? Allora, voglio rassicurare quelli che sono al mio stadio, medio direi, che addirittura, durante il periodo di percolazione, l’odore del peperoncino in questione faceva lacrimare gli occhi, l’odore! ! Non vi cunto quando lo frullai. Che deve succedere quando l’assaggerò? […]

Ecco, l’assaggiai, una puntina dentro una zuppa di riso e lenticchie… confermo che la crema ottenuta è potente, buonissima e profumatissima.
Ovviamente non per te Eliuccio ma per una mano ti ringrazio con tanto love!

Allora, dosi non ne ho. Mi sono regolata con ‘l’occhiometro’
una manciata di peperoncini Habanero Red
aceto di vino bianco
sale grosso
uno spicchio d’aglio piccolo
olio extra vergine d’oliva

Come prima cosa, indossate dei guanti in lattice, può sembrare banale, non lo è per nulla, rischiate di maledire qualunque cosa vi passi per la resta, anche me… sia mai!

 crema vicino bas
Lavate bene i peperoncini, tagliateli a pezzetti, se volete un risultato finale “abbestia” cioè piccante da morire non togliete i semi, in caso contrario eliminateli.
Ponete il pezzame sul fondo di uno scolapasta, possibilmente di metallo e dal fondo piatto, ponete lo scolapasta su un piatto per raccogliere l’acqua di vegetazione.
Spolverate con una manciata di sale grosso e spruzzateli con un po’ di aceto di vino bianco, poggiate sopra i peperoncini un piattino e poi un peso.
lavatevi le mani con ancora indosso i guanti, con acqua calda e detersivo per i piatti, eliminate i guanti, buttateli e rilavatevi le mani, sentite a mia.
Lasciate tutta la notte a gocciolare. Il giorno dopo, eliminate l’acqua raccolta e mantenete il ‘baldacchino’ ancora qualche ora per essere sicuri che tutta l’acqua di vegetazione sia percolata.
Indossate un nuovo paio di guanti, con uno foglio di carta assorbente tipo scottex, eliminate il sale in eccesso e tamponate il peperoncino; ponetelo dentro un frullatore con uno spicchio d’aglio degerminato e poco olio. Aggiungetelo l’olio poco per volta fino a quando noterete la giusta cremosità.
Invasate dentro dei piccoli contenitori precedentemente sterilizzati e procedete alla pastorizzazione.
Ponete i barattoli ben chiusi, dentro una pentola, coprite con l’acqua e portate a ebollizione mantenendola per un ora, spegnete e fate raffreddare lentamente.
Si può mangiare subito è buonissima e di una potenza inaudita (per me). Una volta aperto il barattolo, conservate in frigo.
 cucchiaino Bas