l’attesa e il piacere della fragranza del pane fatto in casa

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I ferri fanno il mastro.
E lo so, tu dissi enne volte, porta pacienza. Ma se ci pensi è la verità; un meccanico senza le sue chiavi a stella o a snodo, la pinza o il cacciavite, è perso. Può essere il più bravo meccanico al mondo ma a mani nude può, al limite, tirare fuori l’astina dell’olio motore e controllare il livello, puliziandosi sui pantaloni però. Pure una pezza ci vuole a corredo.
Anche lo chef più bravo ha bisogno di una buona attrezzatura.
E poi ci sono io, che in cucina non sono neanche quel mostro di bravura, mi avvalgo di attrezzi che mi facilitano il risultato finale.
Alla fine, se una ricetta è collaudata e sono supportata dell’equipaggiamento della cucina, mi viene tutta o scinniri, in discesa.

Questo stampo per pane di Emile Henry è grande, puoi ottenere un pane formato XL. Ti permette di realizzare un pane tipo in cassetta morbido, grazie al tasso di umidità che si sprigiona in cottura. Il risultato della ceramica refrattaria è un pane con crosta croccante e mollica morbida.
Prepara un lievitino mescolando 10 g di lievito con 100 g di acqua, un cucchiaino raso di zucchero e 100 g di farina manitoba. Fai riposare fino al raddoppio, una mezz’ora dovrebbe bastare. Poi mescola 300 g di farina di tipo 2 con 700 g di semola di rimacinato, aggiungi il lievitino e impasta aggiungendo circa 570 g di acqua e 20 g di sale alla fine. Metti quest’impasto dentro una ciotola capiente, leggermente infarinata, copri e fai lievitare nel forno spento con la luce accesa fino al raddoppio, circa un’ora. Riprendi l’impasto rovescialo sul piano di lavoro leggermente infarinato, allargalo con delicatezza, arrotolalo a cilindro e ponilo nello stampo imburrato e infarinato. Copri con il coperchio e fai lievitare un’ora ancora.

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Prima di infornare, pennella la superficie con dell’acqua, effettua dei tagli trasversali e cospargi con un mix di semi. Richiudi lo stampo e inforna a 230°C per circa un’ora.

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Funghi al forno con erbette aromatiche, quinoa e bulgur.

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non perdo di vista l’affetto di Giuliana cha ha ancora voglia di leggere le mie chiacchiere; mi fermo a origliare alla porta di casa, aspetto che Francesco suoni il campanello per accoglierlo, un ospite capace di nobili pensieri. Mantengo con affetto i messaggi con Lavinia che prepara le ricette che propongo, offrendo i risultati ai suoi cari. E la gioia che le incursioni di Chiara mi regalano, tra una recensione, una ricetta e un viaggio; trova sempre il tempo.
Ho capito che in queste pagine non ci sono io ma tu, tu, tu e tu. E, se strizzo gli occhi, trovo anche chi non scrive mai ma legge sempre.
Grazie.
Teglia di funghi al forno con quinoa e bulgur
una ricetta leggera che parte da una pubblicazione su “La Cucina” del Corriere della Sera (funghi al forno) e arricchita da me e dalle mie esigenze ( bulgur e quinoa, fonte di proteine e carboidrati).
Per 3 cristiani:
1kg di funghi prataioli, bianchi e bruni
uno spicchio d’aglio
un limone non trattato
olio extravergine d’oliva
sale
fiocchi di pepe Tellicherry
250 g di quinoa e bulgur in mix
un mazzetto di salvia, origano e rosmarino fresco ( la quantità varia dai tuoi gusti, se ti piace più o meno aromatizzato)
tre cm di zenzero grattugiato
elimina con un coltellino la parte terrosa dei gambi, passa velocemente i funghi sotto l’acqua corrente e poi asciugali. Affetta i più grossi e lascia interi quelli nichi. Metti dentro una teglia capiente, versa un cucchiaio d’olio, il sale, il pepe, qualche foglia di erbette e mescola con le mani. Inforna a 180°C per una ventina di minuti.

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Cuoci il mix di quinoa precotta e bulgur (confezione di zuppe rapide che trovi al supermercato), per circa 15 minuti, in acqua bollente salata, scola e metti in una ciotola. Trita l’aglio degerminato insieme con il mazzetto di erbette aromatiche; con uno zester preleva la scorza del limone, ponilo in una ciotola, con lo zenzero, l’aglio e le erbette, spremi il limone e sbatti con una frusta a fili o una forchetta, aggiungi a filo tre cucchiai d’olio, emulsionando. Usa la salsa aromatica per condire i funghi e il mix di quinoa e bulgur. Impiatta, se vuoi, utilizzando un ring per mantenere in forma l’insieme di bulgur e quinoa oppure mescola tutto insieme. Decora con qualche fogliolina di erbette fresche. Servi tiepido.
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meravigliose arance di Sicilia

 

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Ci sto pensando da un po’; l’evoluzione delle cose porta a seguire delle strade lasciandone altre. Il bivio che lascia, inevitabilmente, il segno. Il divenire mi portò fino a qui, tra alti e bassi, certo ci mancassi, ma sto pensando se, forse, sia il caso di chiudere queste pagine. Mi rendo conto che ultimamente la stanchezza di sentire storie senza fine mi porta a uno sfinimento e alla ricerca di qualcosa d’altro.
Questa cosa è periodica, in dieci anni, mi capitò altre volte. Mi sembra di deludere qualcuno che, ancora, legge e poi mi guardo dentro e mi dico: se ti piace, tienti ‘sto diario e aggiornalo, se vuoi. È un ragionamento egoistico evè? Vero, hai ragione, ma se scrivi su un diario, scrivi quando hai qualcosa da comunicare, in caso contrario, ti astieni… no?
Va beh, dai, oggi affacciai per cuntariti un modo di cucinare il pollo sfruttando la magia delle arancie siciliane e la ducizza delle albicocche secche da una vaga idea de “la Cucina” del Corriere della Sera. Se ti piace potresti mettere un “bel suolo” di patate affettate sottili. Fai tu.
Io, per una mano, l’ho cucinato senza, e me la scialai con quel sapore d’arancia e rosmarino.

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per tre cristiani:

4 grosse cosce di pollo ruspante
6 scalogni freschi
12 albicocche secche
2 grosse arance
qualche rametto di rosmarino
sale
pepe garofanato, se ti piace, oppure un altro pepe
olio extra vergine d’oliva

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sporca, con un paio di cucchiai d’olio, il fondo del cuoci pollo; ungi le cosce da ambo i lati. Massaggia la carne con il sale e il pepe e disponi dentro la teglia a incastro. Monda gli scalogni, affettali nel senso della lunghezza e distribuiscili sul pollo. Lava le arance, affetta a spicchi la più grossa e distribuisci negli spazi liberi; aggiungi le albicocche, il rosmarino e il succo dell’altra arancia. Copri con il coperchio e inforna a 210°C per circa un’ora. Trascorso questo tempo, togli il coperchio, controlla la cottura e fai dorare altri dieci minuti senza coperchio. Fai intiepidire, disossa e servi nei piatti adagiando un terzo dello scalogno, un terzo del pollo qualche spicchio d’arancia e 4 albicocche a testa. Irrora con il sugo d’arancia e servi tiepido.

 

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corona di pane ciavurusa alla salvia

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La ricetta originale la trovai su un vecchio numero di Sale & Pepe, aprile 2012 per la precisione, che misi da parte aspettando l’opportunità per realizzarla. Parrava di panini singoli che invece io vedevo accoronatiPassau il duemiladodici, il diemilatredici, il duemilaquattordici, il duemilaquindici, il duemilasedici, il duemiladiciassette…

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Poi, un bel giorno, Emile Henry s’inventò uno stampo nuovo per il pane, un magica corona da comporre come più mi piace. E qua parte il gingol della Pasqua ma anche quello del Natale e, perché no? anche quello di tutti i giorni dell’anno.
La ricetta l’ho modificata, te lo devo dire. Non mi sono accollata di mittirici 20 g di lievito su 400 g di farina, non ti seccare. Poi ho messo la salvia al posto del rosmarino e ci ho aggiunto ‘n’atticchiedda di acqua.
pigghia un pizzinu:
200 g di farina di grano tenero di tipo 2
200 g di semola di rimacinato
3 uova
3 tuorli
70 g di burro morbido più quello per lo stampo
olio extra vergine d’oliva
150 g di patate (sbucciate)
un mazzetto di salvia
un cucchiaino raso di zucchero
40 ml di acqua, aggiungila poco per volta e controlla l’impasto, potrebbe servirtene di meno o di più.
8 g di lievito di birra
10 g sale più quello per le patate

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lessa le patate, tagliale a cubetti e saltale in padella con un paio di cucchiai d’olio, un poco di sale e la salvia tritata. Fai insaporire circa 5 minuti, poi spegni il fuoco, passale su un tagliare e schiacciale con una forchetta; metti da parte.
Lavora il burro in una terrina con lo zucchero, aggiungi il lievito e continua a lavorare per amalgamare. Metti nell’impastatrice la farina, i tuorli, le uova, il burro con il lievito e fai partire la macchina. Io uso il mio Cook Expert, imposto il programma automatico per il pane e avvio. Appena finisce il programma aggiungo le patate schiacciate e il sale, faccio ripartire il programma e aggiungo l’acqua poco alla volta. Poni l’impasto dentro una ciotola coperta, inseriscila dentro il forno spento con la luce accesa e fai lievitare fino al raddoppio. Ti ci vorranno un paio d’ore circa.
Ungi lo stampo a corona e infarinalo, elimina la farina in eccesso poi stacca delle palline di impasto di circa 20 g e poggiane 3 in ogni alloggiamento, copri con il coperchio dello stampo e fai lievitare ancora un’ora o fino a quando saranno raddoppiate. Lo stampo ha 8 alloggiamenti il resto dell’impasto l’ho inserito in 5 stampi per babà in alluminio, li ho fatti lievitare dentro il cuoci pane con la cloque, “le pain” e poi ho infornato.
Cuoci in forno caldo a 220°C per circa mezz’ora, poi togli il coperchio e fai colorare qualche istante.

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crema di cavoletti piccante e capesante gratinate

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Un marzo in piena regola, anche troppo, direi, ma ci sta tutto.
Dice che in Sicilia c’erano gli invasi vuoti, si rischiava il razionamento dell’acqua picchì nei mesi invernali ci fu sempre tempo buono, sole e pochissima pioggia. Appena qualcuno disse la parola magica “razionamento dell’acqua” si è scatenata la pioggia perenne a lassa e pigghia o ad assuppa viddano, che per le colture è una vera manna dal cielo, è il caso di dire.
Praticamente ‘U Signuri, su scuiddò, cu tutta ‘st’acqua. Mi chiedo se si possano chiudere i rubinetti, gli invasi s’incheru?
Va beh, cu tutta la pacienza che ci voli, recupero un po’ di verdura invernale (ancora) e, nell’attesa che arrivi il tanto (da me) agognato cambio di stagione, mi manciu ‘stu piatticeddu.

Crema di cavoletti di bruxelles piccante, capesante gratinate e ciavuru di finocchietto di montagna
per due cristiani:

500 g di cavoletti di bruxelles
un cipollotto
due pomodori pelati
un mazzetto di finocchietto di montagna
un peperoncino
sei capesante
pan grattato
olio extra vergine d’oliva
sale

In un tegame soffriggi, con due cucchiai d’olio, il cipollotto tritato; aggiungi i cavoletti mondati e tagliati a metà, i pomodori privati dei semi, dalla buccia e tagliati grossolanamente, il peperoncino tritato. Mescola per fare insaporire e poi copri con acqua. Aggiungi parte del finocchietto tritato e cuoci per circa mezz’ora o fino a quando i cavoletti saranno teneri. Sala e frulla con un frullatore a immersione, fai riposare al caldo. Prepara la panatura per le capesante mescolando un paio di manciate di pangrattato con un po’ di finocchietto di montagna tritato finemente, un pizzico di sale e un cucchiaio d’olio; tosta su fuoco leggero mescolando. Fai intiepidire e poi passa le capesante nella panatura, ponile su una piccola teglia e inforna a 180°C per circa 1o minuti.
Distribuisci la crema nelle fondine, adagia tre capesante gratinate e servi con un giro d’olio crudo.

 

Tarte Tatin ai carciofi

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La Tarte Tatin è un’invenzione geniale, francese, prende il nome dalle sorelle Tatin, le ideatrici. Vedi come, alle volte, uno sbaglio è la causa di una grande fortuna. Alle volte però, eh? Non provare a fare un disastro credendo di poter produrre un capolavoro, non funziona sempre così, che inforni una crostata di mele senza impasto e poi te ne adduni e provi a recuperare la situazione. No!
Sull’idea della torta rovesciata più famosa al mondo si basa la mia, salata e alle verdure.

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6 carciofi
uno spicchio d’aglio
tre cucchiai d’olio extravergine d’oliva
mezzo bicchiere d’acqua
una grattata di noce moscata
2 cm di zenzero
sale
un limone
per la brisée:
170 g di farina di tipo 0
70 g di burro leggermente salata
5 g di sale
un tuorlo
40 g di acqua, circa
Per il caramello:
60 g di zucchero
un cucchiaio d’acqua
30 g di burro
per la finitura:
100 g di prosciutto cotto

Prepara l’impasto mescolando la farina con il sale e il burro tagliato a piccoli cubetti; unisci il tuorlo e, poco alla volta, l’acqua. Amalgama tutti gli ingredienti, realizza una palla, copri con della pellicola e poni in frigo a riposare per circa mezz’ora.

Pulisci i carciofi eliminando le punte, le foglie esterne dure e il gambo. Taglia a metà ogni carciofo, elimina il fieno interno e tuffalo in acqua acidulata con il limone spremuto. Taglia l’aglio a metà, elimina l’anima interna e ponilo dentro un tegame con l’olio, scalda leggermente e fai dorare. Aggiungi i carciofi sgocciolati dall’acqua e tagliati a ottavi, mescola per insaporire, aggiungi l’acqua e stufali con il coperchio per circa 20 minuti. Quasi a fine cottura aggiungi lo zenzero grattugiato, il sale e la noce moscata.

Prepara il caramello ponendo nello stampo da Tatin, lo zucchero con l’acqua. Accendi il fuoco e controlla la cottura; ruota lo stampo attraverso i manici per mescolare i due ingredienti. Quando il caramello raggiunge un colore ambrato, togli dal fuoco e aggiungi il burro a pezzetti, mescola con un cucchiaio di legno, attento che sfrigola.
Disponi a raggiera gli spicchi di carciofo sul caramello, distribuisci il prosciutto a pezzetti e metti da parte. Stai attento, non poggiare lo stampo caldo  su una superficie fredda, mantienilo sui fornelli spenti oppure su un tagliere di legno, rischi di spaccare la ceramica.
Recupera l’impasto, manipolalo su una spianatoia, stendilo aiutandoti con della farina d’appoggio e un matterello; realizza un disco leggermente più grande del diametro dello stampo, arrotolalo sul matterello e stendilo sui carciofi, rimboccandolo all’interno, appena sotto i carciofi. Cuoci in forno caldo a 180°C per circa mezz’ora o fino a quando la superficie dell’impasto sarà dorata. Togli dal forno fai riposare un paio di minuti, copri con il plateau in dotazione con il set, capovolgi la torta e solleva lo stampo delicatamente.

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avviluppata dentro un morbido vortice dal cuore di cioccolato, in un fine gennaio siciliano

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Ecco, non si offenda Lina Wertmüller, ché le ho parafrasato il titolo di un suo grandissimo film, ma quando realizzo un dolcetto simile mi sento trascinata con una forza travolgente attraverso qualcosa di bello, di piacevole, di confortante e di rilassante.
Se ho un problema, un pensiero che mi affligge o uno stramaledetto scassamento di cabasisi, me ne vado in cucina, m’allaccio il grembiule bello stretto sui fianchi, raccolgo i capelli in una coda, usando movimenti lenti anzi lentissimi e faccio correre lo sguardo sul piano di lavoro pulito, ancora per poco. Peso gli ingredienti, setaccio la farina, trito il cioccolato e mi perdo, letteralmente, nei suoi effluvi. Il suo ciavuru ha un potere irresistibile, quando è fondente, soprattutto. Mi scordo tutto il resto, se avessi una porta in cucina la chiuderei, ma con il potere della mente, in effetti, la chiudo a doppia mandata e minnifuttu, almeno per ‘na para d’uri. Poi, quannu finisce si cunta. brioches al cioccolato_00002

la ricetta di queste meraviglie l’ho presa su questo affascinante blog. L’incanto delle fotografie mi ha fatto innamorare, a me piace il bello, se poi è anche buono, megghiu accussì.
Manco a dirlo, ma meglio se te lo dico, ho modificato leggermente la ricetta, tu leggi la sua e poi fai tu.

per l’impasto brioche:
10 g di lievito di birra fresco
250 ml di panna
2 uova
100 g di zucchero di canna
600 g di farina
1/2 cucchiaino di sale
100 g di burro a temperatura ambiente.

Per il ripieno al cioccolato:
130 g di cioccolato fondente
130 g di zucchero di canna
60 g di cacao
2 albumi
150 ml di panna
un pizzico di sale
50 g di burro

 

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questa volta non ho usato macchine, ho lavorato usando tanto olio di gomito perché avevo bisogno di silenzio, non c’era neanche la musica.

Silenzio. Ogni tanto mi serve per riordinare le idee, mettere a posto pensieri, piegare paure e metterle in fondo a un cassetto, chiuderlo e via, non pensarci più.
Ho cominciato scaldando la panna dentro una casseruola d’acciaio, a fuoco leggero, l’ho scaldata pochissimo per sciogliere il lievito con le mani. Quindi ho preso una bella ciotola grande, in Pyrex, versato il miscuglio di panna e lievito e su quello ho aggiunto le uova. Con una spatola a lama lunga flessibile ho mescolato unendo gli ingredienti, poco per volta ho immesso lo zucchero. Ho mescolato ancora fino a sciogliere lo zucchero che con il lieve calore della panna si libera in essa; che bello.
Poco alla volta ho cominciato a inserire la farina e a quel punto l’impasto è diventato sempre più consistente, quindi ho alloggiato la ciotola nell’incavo del braccio e, continuando a mescolare, ho addizionando il sale e il burro morbidissimo, a pezzetti. Ho ottenuto un impasto morbido, facilmente lavorabile sulla spianatoia per realizzare una palla che ho fatto riposare dentro una ciotola coperta con della pellicola, in frigo per tutta la notte.
Chiuso lo sportello del frigo mi sono spicciata a tritare il cioccolato, si stava avvicinando l’ora di cena e non avevo più tanto tempo da regalarmi, avevo però la necessità di finire le preparazioni per il giorno successivo. Quindi, facendo tesoro di quell’ora disponibile, ho mescolato la farina con lo zucchero, il cacao e gli albumi per realizzare il ripieno; ho messo sul fuoco un tegame con la panna, quando è arrivata a ebollizione l’ho versata, poco alla volta, dentro la ciotola con il mix di albumi, mescolando fino ad amalgamare bene il tutto. Poi, mi è bastato rimettere tutto dentro il tegame e cuocere, a fuoco basso mescolando, fino a quando ha preso una consistenza densa. Ero oramai alla fine della formazione del ripieno, mancava da aggiungere il sale, il burro e il cioccolato tritato; con un cucchiaio di legno ho mescolato e il calore ha fatto il resto del lavoro: tutto il composto sciolto e amalgamato. Ben fatto! Ho fatto raffreddare completamente e poi suddiviso in due parti uguali su due fogli di pellicola alimentare, con una spatola ho realizzato due rettangoli di circa 20*15 cm che ho ricoperto con altra pellicola e riposti nel congelatore.
Il giorno dopo avevo un bel po’ di cose da fare, camurrie più che altro, quindi ho tirato fuori dal frigo l’impasto per farlo ritornare a temperatura ambiente, ripromettendomi di lavorarlo dopo pranzo: la merenda era assicurata.
L’impasto morbido, l’ho diviso a metà, era umido ma non troppo, non mi è servita farina d’appoggio. Con un mattarello ho steso una metà realizzando un rettangolo di circa 30*21 cm, ho liberato dalla pellicola uno dei due rettangoli di ripieno ghiacciato,  l’ho adagiato al centro e poi ho ripiegato l’impasto sul ripieno, sigillato i laterali e spianato con il matterello per chiudere bene. Stessa procedura con l’altra metà. A questo punto ho coperto con la pellicola e ho fatto riposare per una mezz’ora, per dare il tempo al ripieno di recuperare un po’ di morbidezza. Trascorso questo tempo di attesa ho recuperato un pacchetto, l’ho steso con il mattarello formano un rettangolo grande 20*30, poi ho ripiegato ancora verso il centro riformando un pacchetto, e poi l’ho risteso alle stesse dimensioni del rettangolo precedente. C’ero quasi, ancora un po’ di lavoro e avrei ottenuto quelle brioches, felice ero. Il passo successivo prevedeva di arrotolare il rettangolo, procedendo dal lato lungo, ho affettato il rotolo ottenuto a pezzi di 5 cm di spessore, li ho adagiati in uno stampo per muffin precedentemente imburrato, ho coperto con la pellicola e messo dentro il forno spento con la luce accesa per un’ora circa, Stesso identico procedimento per l’altra metà. Sbirciavo di tanto in tanto la lievitazione, durante l’ora di riposo finale e già avevo l’acquolina in bocca. Era giunto il momento d’infornare; ho portato il forno a 175°C, eliminato la pellicola e ho infornato per circa 20 minuti, dal piano di sopra Carlotta, con un tono ineterrogativo nella voce, urla:

-Mamma? Che stai cucinando?

Sarà avviluppata nel vortice al cioccolato, anche lei. Cose bellissime!

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tutto in un piatto

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Non avevo mai usato le foglie di cavolo nero, assaggiate forse una volta in vita mia, posso dirti che sono ottime e resistenti anche dopo scottate. Infatti si prestaru ad avvolgere un ripieno delicato di zucca e pesce spada. Ci puoi fasciare chiddu chi voi. Io avevo una fetta di pescespada che ho ridotto a fettine sottili e tagliato a misura per realizzare gli involtini, ho semplicemente cotto e aromatizzato la zucca e lessato del riso basmati; ‘stu piatticeddu mi vinni tutto a scinniri, facile facile e unico.

involtini di foglie di cavolo nero, zucca e pescespada
per 4 cristiani:

200 g di foglie di cavolo nero
600 g di zucca decorticata e tagliata a cubetti
220 g di pesce spada tagliato sottile, quasi un carpaccio
2 cm di zenzero grattugiato
6 foglioline di salvia tritate
1/2 cipolla
uno spicchio d’aglio degerminato
100 ml di acqua
50 ml di vino bianco secco
80 g di mollica di pane raffermo condito con cipollina, pomodoro, parmigiano e un filo d’olio extra vergine d’oliva (*)
240 g di riso basmati
una foglia di alloro
olio extra vergine d’oliva
scotta le foglie di cavolo nero in abbondante acqua salata per una decina di minuti. Scolale e mettile ad asciugare su uno strofinaccio pulito. In una padella metti un giro d’olio con la cipolla e l’aglio tritati finemente; soffriggi per qualche istante, poi aggiungi la zucca, mescola unisci l’acqua, un po’ di sale, il pepe, la salvia e lo zenzero, copri con un coperchio e cuoci per circa 20 minuti. Tre minuti prima della fine della cottura, togli il coperchio aggiungi il vino e alza la fiamma per fare evaporare. Su un tagliere stendi le foglie di cavolo a due a due, disponi una fettina di pescespada e qualche dadolata di zucca preparata, avvolgi l’involtino e passalo sulla panatura. Adagia ogni involtino su una placca foderata con carta forno e inforna a 180°C per circa dieci o quindici minuti. Nel frattempo prepara il riso cuocendolo in acqua salata aromatizzata con una foglia di alloro, scolalo e servi su ogni piatto distribuendo la zucca e gli involtini.

(*)in una ciotola condisci 60 g di pane grattugiato con 20 g di parmigiano grattugiato due pomodorini e un pezzetto di cipolla tritati finemente, aggiungi un filo d’olio, un pizzico di sale e una macinata di pepe, mescola per amalgamare.

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lèggere o leggère, pagine & pagine

mira_00001

Sto leggendo un romanzo che non mi ha acchiappato come avrei voluto.
Scelgo i libri, per farmi accompagnare attraverso un incanto, dal titolo, dall’autore, dal genere, dalla copertina e, in ultimo ma non per importanza, dal numero di pagine. Più sono grossi, più le pagine hanno una bassa grammatura, più io sono felice di poterli acquistare e lasciarmi affogare in quel mare di fruscianti fogli, certa che finiranno tardi, tardissimo, nonostante la mia foga nel leggerli. M’assuglia la curiosità di sapere cosa avranno da celare tutte quelle parole affastellate una appiccicata all’altra.
Certo, se le premesse non coincidono con le aspettative è un disastro, perché il fatto, la storia, diventa un mattone; pesante di moriri. Accussì, il testo diventa lento, i mesi trascorrono e quel libro è sempre lì: grosso, sovrasta la torretta di quelli che aspettano pacinziusi di essere goduti. Altre grandi aspettative.
Lo mollo? no, difficile che lo molli, perché arrivata a pagina 348, mi chiedo che cosa può succedere lungo tutte le settecentosessanta pagine. Tra l’altro è un giallo e vugghiu sapiri cu fu che l’ammazzò a quella nicaredda. Quindi non se ne parla, lo finirò, lentamente, ma lo finirò. Mi affiderò a un pomeriggio di ozio con una fetta di torta, magari una mud cake come questa che posso mangiare schettamaritata con una “quenelle” di panna montata, frutti di bosco o del gelato alla vaniglia.
Esistono innumerevoli ricette della mud cake, la famosa torta fango a base di molto cioccolato. Ha una consistenza compatta ma morbidissima, io ho scelto di seguire la ricetta di Donna Hay apportando due sole modifiche; ho usato una teglia da 26 cm di diametro (lei usa una teglia da 22 cm) e aggiunto 8 g di lievito.
375 g di burro morbido
230 g di zucchero di canna
3 uova
300 g di farina setacciata
1/2 cucchiaino di bicarbonato di sodio
8 g di lievito chimico
80 g di cacao in polvere amaro, setacciato
200 g di cioccolato fondente, fuso
180/200 ml di latte (decidi in base alla consistenza del composto)
cacao in polvere per guarnire

scalda il forno e portalo a 160°C, imburra una teglia da 26 cm di diametro, spolverala con un po’ di farina e metti da parte. Lavora il burro con lo zucchero per 8-10 minuti. Il composto diventerà molto chiaro e spumoso. Aggiungi un uovo alla volta, aspettando che venga assorbito dall’impasto prima di aggiungere il successivo. aggiungi la farina con il lievito e il bicarbonato, il cacao. Alterna con il latte e il cioccolato fuso.  Versa nello stampo, livella e inforna per circa un’ora e un quarto. Fai la prova stecchino prima di sfornare, fai raffreddare cinque, dieci minuti prima di sformare il dolce e farlo raffreddare su una gratella. Spolvera con del amaro e servi come ti piace di più.

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l’annosa questione, masculu o fimmina

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Oggi Santa Lucia è; in tutto il mondo si festeggia ‘sta Santuzza in moltissimi modi.
In Sicilia non si mangia pasta e nemmeno pane, alcuni  panifici addirittura non aprono nemmeno; in teoria dovrebbe essere una giornata di digiuno e invece si concentrano tante di quelle leccornie memorabili. Sicuramente vige un imperativo; FRIGGERE!

Ora ti cuntu du’ cosi: io sicula sono!
E questa è una, l’autra cosa che t’ha diri è chista, assettati.
Appena diciottenne menn’eppi agghiri fora a studiare, lassai Messina, mia città natale e fici cinc’anni a Firenze; penso che ‘sta cosa mi aprì ‘u ciriveddu. Mi sono convinta che i campanilismi siano una cosa detestabile, sono un’assertrice del bello e del buono in ogni latitudine; sono una persona mite e dove vado mi adeguo, non scasso i cabasisi a nuddu se nessuno li scassa a me.
Fatta ‘sta premessa ti dico che i venticinque anni di vita vissuta fino a ora li passai ‘n Paliemmu dove campo ancora, a Dio piacendo. Ora l’annosa questione che mi vede nel menzo è la solita: in quasi tutta la Sicilia quelle palle di riso condite sunnu masculi e a Palermo, invece, sunnu fimmine. In effetti quello che cunta l’accademia della crusca mi convince ‘n’anticchia e cioè che la palla tonda un’arancia pare e quindi, a rigor di logica, è una piccola arancia, dunque arancina. E ci sta. Ma quelli a punta? Ammia mi parunu masculi!
Comunque, io su ‘sta cosa ci babbìo assai e vorrei che ci babbiassero tutti, appellando queste succulente bombe fritte come chiù ci piaci.
Mancia e zittuti, in primisi picchì non si mangia con la bocca china e in secundisi picchì, se t’assetti allato ammia, ti dugnu in mano un calice di vino e t’arricrii. Pensavo a un vino mosso, un frizzante bello allegro rosato per le arancine accarne e bianco per quelle abburro, secunnu mia si maritano perfettamente.
Anzi, picchì non ci facciamo una bella gita alla cantina Porta del Vento sulle colline del territorio di Camporeale? E’ in provincia di Palermo, un luogo memorabile; che fa, organizziamo? Ah, si il vino, Voria si chiama.

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Arancini di riso accarne e abburro
Difficoltà: difficile
Preparazione: 1 ora
Cottura e riposo: 2 ore circa
Ingredienti per 4 arancini grandi o 6 chiù nicareddi

Per il riso:

500 g di riso per risotti, ho usato il carnaroli
2 foglie d’alloro
50 g di parmigiano grattugiato
50 g di ricotta infornata
25 g di burro
80 ml di salsa di pomodoro pronta
Un uovo
pepe
sale

Prepara il riso portando a bollore abbondante acqua salata con l’alloro, cuoci il riso e portalo a metà cottura, scolalo e condiscilo con i formaggi, il burro, l’uovo sbattuto e il pepe. Dividi il composto in due parti e condisci una parte con la salsa. Fai raffreddare completamente, per almeno due ore. Nel frattempo prepara il ragù

 Ingredienti per il ragù:

150 g di tritato misto, vitello e maiale
mezza cipolla rossa
mezza carota
mezza costa di sedano
250 ml di salsa di pomodoro
2 foglie d’alloro
50 ml di vino bianco secco
mezzo cucchiaio di estratto di pomodoro
50 g di piselli sgranati
20 g di olio extra vergine d’oliva
un pizzico di zucchero
un pizzico di bicarbonato di sodio
noce moscata
sale
pepe

Trita finemente la cipolla con il sedano e la carota; poni il battuto dentro una casseruola e soffriggi con l’olio, metti la carne e fai insaporire; sfuma con il vino e aggiungi il concentrato di pomodoro. Amalgama mescolando. Unisci i piselli, la salsa e le foglie d’alloro, una grattugiata di noce moscata, il sale, il pepe, lo zucchero e il bicarbonato di sodio. Copri con un coperchio lasciando un cucchiaio di legno tra il coperchio e il tegame, abbassa la fiamma al minimo e fai pippìare per circa un’ora.

 Per il ripieno e la finitura:

100 g di provola dolce tagliata a dadini ( ti servirà anche per farcire quelli al burro)
200 g di farina di rimacinato
400 g d acqua
pan grattato
Olio extra vergine d’oliva oppure olio di semi

Realizzazione degli arancini:

Intanto t’ha diri ‘na cosa: bagnati le mani per la preparazione di ogni arancino e prepara la finitura; una ciotola con la pastella preparata amalgamando la farina con l’acqua, aggiusta di sale, n’anticchiedda e una con il pangrattato, poi prendi  una cucchiaiata di riso condito con la salsa, mettilo in una mano messa a conca, plasmalo allargandolo, riempiti con un cucchiaio di ragù e un paio di dadini di provola. Copri tutto con altro riso e forma l’arancino realizzando una palla. A ‘sto punto diventa arancina! Un’arancia piccola. Passa le arancine dentro la pastella e poi nel pangrattato e ponile su un piatto.

Arancini al burro

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25 g di burro a dadini
25 g di prosciutto cotto tagliato a dadini

Recupera il composto di riso e formaggi rimasto e realizza gli arancini abburro con la stessa modalità usata per quelli accarne  realizzando una forma allungata per distinguerli e farcendoli con pezzetti di formaggio, qualche dadino di burro e qualche quadratino di prosciutto cotto; passali dentro la pastella, nel pan grattato e infine friggi in una casseruola dai bordi alti e piena d’olio bollente per pochi minuti, fino a doratura girando delicatamente con due forchette o una schiumarola.

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